TORINO – “È il momento di avere un po’ di divertimento sul palco”: è stata introdotta così la sessione di pitch che ha chiuso il percorso laboratoriale del primo ComedyLab. Dopo una lunga sessione di presentazioni convenzionali, per quanto interessanti, nel fitto programma del TFL Meeting Event, l’arrivo sul palco dei protagonisti del primo laboratorio dedicato alla commedia del TorinoFilmLab ha fatto capire il potenziale del progetto. D’altronde, come ricorda l’Head of Studies Alec Von Bargen “la commedia è una cosa seria”, principalmente perché “fa ridere le persone, le rende felici e, soprattutto, fa un sacco di soldi”.
Sovvertendo le regole dei pitch, i quattro progetti sono stati introdotti da dei brevi monologhi comici dei quattro comedian che hanno affiancato per circa 10 mesi il percorso di sviluppo dei quattro lungometraggi selezionati. La canadese Kate Hammer (per Honeyjoon), lo statunitense Mike Kunze (per MidLife), l’italofrancese Tatiana Delaunay (per The Last Queen) e l’italiana Cecilia Gragnani (per Bootleg), hanno dimostrato in pochi minuti l’importanza dell’apporto di professionisti della comicità e di performer a progetti filmici come quelli presentati oggi.
Un contributo che ci hanno confermato tutti gli autori con cui abbiamo discusso nelle scorse ore e che, nelle prossime, saranno impegnati negli incontri one to one per trovare partner fondamentali per portare le loro sceneggiature sul grande schermo.
Fiore all’occhiello di questo primo ComedyLab è certamente Honeyjoon della regista statunitense di origini siriane Lilian T. Mehrel. Dopo avere vinto un contributo di un milione di dollari, infatti, il film è in fase avanzata di produzione. La regista, il cast e la troupe stanno già girando nella splendida cornice delle Azzorre, per raccontare la storia autobiografica del viaggio di una madre siriana e di sua figlia, che dagli States arrivano nelle splendide isole portoghesi a un anno dalla morte del loro amato marito e padre. Davanti a loro una vacanza da sogno, che porterà inevitabili conflitti tra due donne non solo di generazioni diverse, ma cresciute in contesti lontanissimi e con punti di vista sul mondo apparentemente incompatibili.
“Credo che sia una storia che può risuonare non solo al pubblico statunitense. – ci ha raccontato la produttrice portoghese Andreia Nunes, presente al TFL Meeting Event per rappresentare il film in vece della regista – È una storia che parla dell’empowerment femminile, i loro desideri e la loro voglia di essere libere. Una libertà che purtroppo manca in molti paesi. Credo che chiunque possa legarsi a questi elementi, soprattutto il pubblico femminile”.
Al posto del pitch, Lilian T. Mehrel ha voluto presente all’evento, inviando un video direttamente dalle Azzorre. “Al netto dei normali problemi di set, tutto sta andando bene: siamo nel mezzo delle riprese, che dovrebbero terminare nelle prime settimane di dicembre. – ci racconta ancora Nunes – Stiamo cercando compratori e distributori, ci serve anche un piccolo budget per la post-produzione. È confermato che avremo la premiere statunitense al Tribeca Film Festival, nel giugno del prossimo anno”.
“Il ComeyLab è stato molto importante nell’ottica del fatto che Lilian sapeva di voler fare una commedia e ha avuto la possibilità di lavorare con persone che sanno come costruire un progetto comico. – aggiunge Neres – È stato importante per lei anche perché quando sono andati a Porto, ha avuto l’occasione di provare alcune scene con gli attori e ha potuto vedere come le scene venivano percepite non solo dagli attori, ma da suoi colleghi. Sono stati momenti cruciali per il progetto, per indirizzarlo verso questo genere specifico”.
“In Russia girano tanti film di propaganda che rinforzano la narrativa russa. Spero che il mio film possa andare contro questa narrativa, portando avanti il nostro messaggio”. Mentre la guerra in Ucraina supera il traguardo tragico dei mille giorni, un talentuoso regista e sceneggiatore ucraino Oleksii Sobolev prova a portare a compimento un film come MidLife, che vuole smorzare con l’umorismo il dramma della sua popolazione. Protagonista è un uomo ucraino ma residente a New York che si trova bloccato in Ucraina a causa dell’inizio del conflitto: per tornare dalla sua famiglia sarà costretto a riprendere i contatti con una vecchia amica, facendole una promessa che però sa di non potere mantenere. La donna, infatti, vorrebbe un figlio grazie allo sperma di lui, che però, a sua insaputa, a già praticato una vasectomia.
“Abbiamo iniziato il progetto prima dell’inizio della guerra, grazie ai fondi culturali ucraini. – racconta Sobolev – Dopo l’invasione ci siamo fermati per quasi un anno perché eravamo sotto shock. Non credo che saremmo stai in grado di continuare senza il supporto del TorinoFilmLab, perché essere selezionati è stato come un messaggio che ci diceva dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo ricominciare. I nostri mentori ci hanno chiesto di decostruire tutto, ripartire dalla bozza e questo ha portato grossi benefici al progetto. Adesso è tutto più a fuoco, è molto migliore. Mike Kunze, il comedian con cui ho lavorato, è stato fantastico. Mi ha suggerito tante idee che sono adesso nella sceneggiatura. La sua è una mentalità diversa, lui è californiano, è riuscito a entrare nel mio protagonista molto bene ed stato in grado di offrirmi una prospettiva nuova e sincera su di lui”.
Si ambienta nella laguna veneta l’unico progetto italiano che ha partecipato a questa prima edizione. The last queen di Stefano La Rosa e Luca Renucci racconta la storia di Lorena, una lavoratrice veneta di mezz’età che un giorno viene riconosciuta come la reincarnazione della regina Maria Antonietta, risvegliando dal torpore di uno stato semi-vegetativo un’anziana Contessa. Per farla felice, la donna deciderà di impersonare la celebre regina, mettendo al contempo in discussione la sua stessa vita.
“Abbiamo lavorato sulla cultura di matrice cattolica che chiede di mettere sempre prima gli altri e poi te stesso, ma proprio per ultimo. – ci rivela Luca Renucci – Da un lato è una cosa molto bella, ma dall’altro può produrre queste stuole di martiri, soprattutto donne. Vogliamo lavorare tanto sui contrasti. Raccontare il mondo reale, senza dimenticare l’accento locale, qualcosa di soffocante, che a un certo punto si apre. È importante sentire che questa donna, all’inizio della storia, non ha un momento per sé, perché non se lo concede, semplicemente non si è mai posta il problema. Non sarebbe la stessa cosa se fosse dal punto di vista di un uomo. C’è qualcosa di decadente nella scoperta di questa laguna così silenziosa, grande, eterea, che contrasta con la frenesia della vita quotidiana della nostra protagonista, in cui sei sempre a correre di qua e di là per occuparti di qualcosa”.
Il progetto, di cui avevamo già parlato a maggio, si è evoluto molto negli ultimi mesi ed è pronto ad affrontare gli ultimi step di sviluppo: “Siamo molto soddisfatti del lavoro che abbiamo svolto, anche se ce n’è tanto ancora da fare. – continua Renucci – Abbiamo lavorato su dei punti che mancavano all’inizio, dopo la tesi e l’antitesi, manca solo la sintesi. Ci affidiamo molto alla nostra produttrice, Nadia Trevisan, di Nefertiti Film, che ha una strategia precisa. Siamo contenti di avere molti incontri nei prossimi giorni e ci sentiamo molto sicuri della solidità del progetto”.
Quando una donna egiziana scopre l’esistenza dei sex toys, la sua vita cambia, a partire dal marito che decide di divorziare da lei. Grazie al supporto di amiche preziose e alla necessità di rispondere a un bisogno urgente delle donne che la circondano, riuscirà – a suo rischio e pericolo – a dare il via a un vero e proprio mercato di vibratori e giocattoli sessuali. È questa la trama di Bootleg, la coraggiosa commedia della regista e sceneggiatrice egiziana Reem Morsi che sfida i tabù non solo della società mediorientali, ma anche di quelle occidentali.
“Non credo che il mio film potrebbe andare al cinema in Medio Oriente. – ci rivela la regista – Anche se spero possa arrivare tramite alcune piattaforme streaming. Credo che sarebbe molto controverso, cosa che spero perché credo che sia un argomento che merita di essere portato alla luce e discusso. Per me il cuore del film sono i diritti della donna, la violenza di genere. Anche se mi insulteranno, spero che il mio film apra una discussione, perché è ciò che provoca i cambiamenti nelle società. Grazie a questo workshop ho capito che è un argomento davvero universale, credo che sia un film che possa avere un impatto anche sulla cultura occidentale”.
“Lavoravo al progetto da tanto tempo, ma al ComedyLab ci hanno subito detto che dovevamo ricominciare d’accapo. – aggiunge – Una cosa difficile ma eccitante al tempo stesso, perché hai un’occasione di capire cosa funziona e cosa no. Ripartendo dalla bozza, ho tagliato diversi personaggi. Prima c’era un cast molto più ampio, ora ci sono fondamentalmente due personaggi principali, in modo tale che la storia sia più focalizzata su certe problematiche. Tutto questo mi ha dato molto più spazio per la comicità. Avevo sempre scritto drammi, quindi per me è stata una grande sfida lavorare sulla commedia. Avere provato alcune scene con i comici mi ha fatto capire quali elementi fossero più divertenti pur mantenendo l’integrità della storia”.
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