Un chirurgo cocainomane e razzista nella New York di inizio secolo. E’ il dottor Thackery protagonista della serie The Knick, prodotta dalla HBO e diretta da Steven Soderbergh (su di lui sta per uscire una monografia di Giancarlo Mancini, pubblicata da Le Mani Editore). Il Festival di Roma ha proposto le prime due puntate in anteprima (andranno in onda su Sky Atlantic HD a partire dall’11 novembre) e Clive Owen ne ha parlato con i giornalisti in attesa di partecipare, domani, a un incontro con il pubblico dell’Auditorium. Per il fascinoso attore britannico, conosciuto da tutti per il ruolo che gli ha portato una nomination all’Oscar e un Golden Globe con Closer, è stata un’esperienza da ripetere. Tanto che girerà presto, sempre diretto da Soderbergh, la seconda serie.
Ambientata nell’anno 1900 in una New York violenta, sporca e affollata, dove ogni giorno arrivano decine di immigrati e le epidemie imperversano, The Knick racconta la vita in un ospedale all’avanguardia, il Knickerbocker, dove il dottor Thackery sperimenta in corpore vili nuove tecniche chirurgiche, spesso portando alla morte il paziente di turno. Ma la fiction – anche se forse è improprio definirla così perché ha una qualità assolutamente cinematografica – si arricchisce di molti elementi, primo fra tutti il contrasto con un altro chirurgo, l’afroamericano Algernon Edwards (André Holland), inviso a Thackery per motivi razziali (e forse anche per rivalità professionale) ma molto più preparato della media dei suoi colleghi. O anche degli scontri con la benefattrice Cornelia Robertson (Juliet Rylance) che fa parte del consiglio d’amministrazione della clinica e cerca di imporre la sua visione moderna e progressista, mentre il direttore amministrativo non esita a usare la corruzione per oliare certi ingranaggi. La scrupolosa ricostruzione dell’epoca è frutto di Howard Cummings e Ellen Mirojnick, rispettivamente scenografo e costumista, premiati con l’Emmy per un altro lavoro tv di Soderbergh, quel Behind the Candelabra che ebbe gli onori del concorso di Cannes. “La televisione – dice il regista di Sesso, bugie e videotape – riesce a fare quello che il cinema faceva una volta. E’ per questo che molti registi gravitano verso questo mondo, dove trovano varietà di storie e libertà. Quando qualcuno mi sottopone un’idea oggi sono molto più incline a pensarlo come prodotto televisivo che cinematografico”. In effetti in The Knick il limite si spinge molto oltre con scene grandguignolesche e raccapriccianti, violenza e droga. Per Andrea Scrosati di Sky “queste sono le serie che ci piacciono, perché vanno oltre il limite dell’accettabile, che poi in questo caso era l’unico modo per raccontare la medicina pionieristica di quegli anni”. Owen, che dal 13 novembre vedremo sul grande schermo nei panni di un insegnante di letteratura in Words and Pictures di Fred Schepisi accanto a Juliette Binoche, ha incontrato i giornalisti al Festival.
Come ha fatto Soderbergh a convincerla?
Ero restìo a prendere un impegno così grosso, io non amo le lunghe serie perché dicono troppo sul personaggio e ho paura di ripetermi. Ma quando ho letto la sceneggiatura ho deciso in un attimo. Conoscevo quel periodo storico, ma non avevo mai letto una storia bella e avvincente come questa. Il mio personaggio è un genio e uno sperimentatore e al tempo stesso è un cocainomane arrogante, pieno di difetti, razzista. E’ proprio vero che in quegli anni a New York non c’era un solo medico afroamericano, gli unici sanitari neri lavoravano in infermerie riservate ai pazienti di colore.
Ha cercato di rendere il dottor Thackery affascinante?
Rendere simpatico un personaggio che non lo è, è qualcosa di sottile. Ma noi attori dobbiamo sempre capire i personaggi, la loro storia, i loro punti deboli, i loro difetti. Thackery è ispirato a un personaggio realmente esistito, il celebre chirurgo americano William Halstead, che lavorava alla John Hopkins University ed era geniale ma usava enormi quantitativi di droga. La cocaina allora non era illegale, si pensava che fosse un anestetico. Ci sono voluti anni per capirne gli effetti devastanti. Nel film in ogni scena lo vediamo assumere qualche sostanza. Nella prima scena si risveglia da uno stupor oppiaceo in un bordello cinese e poi si inietta cocaina liquida tra le dita dei piedi perché non ha più vene sane sulle braccia.
Perché le serie ospedaliere, da E.R. a Dr. House hanno tanto successo?
Perché la posta in gioco è alta, è questione di vita o di morte. In questo caso, poi, è medicina pionieristica che faceva progressi rapidi in tempi stretti: i dottori sperimentavano, sezionavano cadaveri. Thackery è pronto ad assumersi dei rischi e non si ferma davanti a nulla. Ma non sarebbe così interessante se fosse solo un bravo medico e una brava persona.
Per lei che ha iniziato in teatro, è molto diverso lavorare in tv?
Affronto tutti i mezzi allo stesso modo. E’ vero, all’inizio pensavo che avrei fatto solo teatro, ma poi sono arrivate altre proposte, il cinema, la tv, e le ho accolte. La tv è particolarmente interessante in questo momento. Steven aveva detto che non avrebbe più fatto cinema e poi ha deciso di fare questa serie in 10 puntate. Con le serie c’è più tempo per esplorare personaggi e temi e si possono toccare aspetti pericolosi, non si deve condensare tutto in due ore.
Qual è il segreto di Soderbergh?
Si occupa di tutto, non solo la regia, ma le luci, le riprese, il montaggio. E il suo set ha una qualità altissima, è perfetto. Nei cassetti c’erano addirittura gli strumenti dell’epoca.
Come avete raggiunto tanta precisione nella ricostruzione storica della pratica medica?
Un medico che ha un archivio con migliaia di foto primi Novecento di strumenti chirurgici è stata la nostra fonte. Tutto quello che vedete non è realizzato con effetti digitali e ogni intervento è ripreso in modo diverso. Avevamo un medico sul set che ci spiegava come fare. Tra l’altro all’epoca gli interventi avvenivano davanti a un pubblico che assisteva all’operazione dalla cavea.
Non avete avuto problemi di stomaco con tutto quel sangue e budella?
Gli interventi erano fedeli alla realtà e la quantità di sangue molto realistica per i primi del Novecento. Non è sangue gratuito quello che vediamo, ma molto credibile. In tanti mi hanno chiesto se non mi abbia dato fastidio. Ma non avevamo tempo per lasciarci impressionare. Dovevamo sorvegliare l’aspetto tecnico e recitare un ruolo complesso, in cui il ritmo era fondamentale.
C’è qualche regista italiano con cui le piacerebbe lavorare?
Sono un grande fan di Paolo Sorrentino e della Grande bellezza, è un film stupendo.
Farete la seconda serie di The Knick, vero?
Sì, Steven dirigerà altri dieci episodi e io sarò il protagonista. Ci saranno sviluppi folli e selvaggi. E’ stimolante vedere fino a che punto possiamo arrivare.
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