Claudia Pandolfi, mamma “orfana” per cyber bullismo

'Il ragazzo dai pantaloni rosa' di Margherita Ferri è ispirato alla storia di Andrea Spezzacatena, che il 20 novembre 2012 si è tolto la vita. La sua vicenda è testimoniata dalla mamma, Teresa Manes, autrice di un libro, e interpretata sul grande schermo dall’attrice romana, accanto a Samuele Carrino e Sara Ciocca


GIFFONI – Giffoni è quel luogo capace anche di celebrare la cultura della caduta e con questo spirito una storia come quella realmente accaduta a Andrea Spezzacatena, suicida a 15 anni, il 20 novembre 2012, protagonista suo malgrado del primo caso italiano di cyber bullismo, una vicenda che il cinema ha recepito e di cui sono cominciate le riprese lo scorso maggio: Il ragazzo dai pantaloni rosa è diretto da Margherita Ferri, scritto e prodotto da Roberto Proia, interpretato da Samuele Carrino, nel ruolo di Andrea, da Sara Ciocca che recita quello della sua migliore amica, con Claudia Pandolfi, che dà vita sul grande schermo a Teresa Manes, la mamma vera, autrice di un libro, Andrea oltre il pantalone rosa, che ha reso la sua vita una missione, riuscendo a rielaborare il suo vissuto raccontando agli adolescenti e nelle scuole a cosa possa portare il peso delle parole.

Il ragazzo dai pantaloni rosa è un Evento Speciale di #Giffoni54 e propone una tematica nelle corde del Festival, che ha anche stretto una collaborazione con la Polizia Postale, l’ANM – Associazione Nazionale Magistrati e il Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL.

Il titolo è ispirato a un fatto realmente accaduto, un lavaggio sbagliato di un paio di jeans rossi che si sono scoloriti ma Andrea non s’era posto il problema di non indossarli, una banalità che ha scatenato un effetto domino deleterio, fino alla creazione di una pagina Facebook intitolata come il film, che la mamma ha scoperto solamente dopo la perdita di Andrea, perché il loro accordo era che lui potesse accedere al social ma solo se avesse condiviso con lei le password d’accesso.

Claudia Pandolfi – intrisa di emotività, ma presentissima a se stessa, a #Giffoni54 solo sul finale s’incide il volto di lacrime, lì davanti a Teresa, quella vera, che discretamente è presente all’incontro in cui l’attrice racconta incontrarla “ancora” – dopo gli appuntamenti utili al film, perché “s’è creato un rapporto intenso: la sfida per il ruolo non era tanto tecnica, qua c’è da spiegare l’umano, qualcosa che io faccio ancora fatica a gestire. La responsabilità me la sento addosso. Mi sono accorta che tutti i reparti di questo set abbiano avuto un’attenzione particolare: mi ha commossa sentire la solidarietà. C’è la lezione di Teresa, la sua storia trasformata per gli altri, con intelligenza emotiva. La cosa subdola non è il bullo manifesto ma quanti di noi sarebbe in grado di difendere la persona attaccata? Quanto si crea un clima cameratesco del male? Andrea si deve essere sentito davvero solo. Quanti aderivano al silenzio?”. Ed è a questo punto che Pandolfi non trattiene le lacrime, perché “lo stato emotivo è talmente prepotente che non puoi non metterlo nelle cose: io sono una persona molto empatica, non avrei voluto piangere, e ogni film che scelgo di interpretare è una gioia, ma non tutti si portano dietro un valore così alto. Grazie, Teresa”.

Samuele Carrino non può che confermare di aver “sentito un senso di responsabilità. Il film deve dare un unico messaggio: non stare in silenzio e confidati con chi di cui ti fidi. Il cyber bullismo ti può seguire ovunque, ma parlare è l’unica soluzione: bisogna rompere il silenzio. Se non hai la forza e il coraggio di affrontare chi si nasconde dietro lo schermo non riesci a uscirne”.

Parole raccolte anche da Sara Ciocca, che nel ruolo di migliore amica per Andrea è “un faro, qualcuno di cui si può fidare. Io ho percepito l’onestà del personaggio, lui vicino a Sara si sente partecipe perché lei lo accetta anche per la sua disagevole presenza. Loro si vogliono bene perché sono singolari e non si sono omologati al branco dei bulli: per combattere questo brutto fenomeno c’è bisogno di cultura, che vada a costruire la sensibilità comportamentale, qualcosa necessario per diventare vere persone. Il messaggio che spero possa arrivare è di non celare mai niente. La violenza del cyber bellissimo è un ospite cupo che s’aggira nella società in maniera angusta e nociva. Il cyber bullismo capita perché ci sono persone che sembrano innocue ma possono nascondersi poi dietro uno schermo: potrebbe essere anche un fratello o una madre, chiunque, e essere nascosti gli dà un megafono, questo è molto pericoloso per atti di violenza che dovrebbero essere annientati”.

Roberto Proia conferma sia “stato complesso: io sono stato il primo a sentire una forte responsabilità, qualcosa che poi è stata una cascata sulla regista, su tutti i reparti. Questo film era un’occasione speciale, cosa che significa opportunità o minaccia: non volevamo essere bianco o nero, parliamo alle famiglie come ai bulli inconsapevoli. È stata dura entrare nel mondo di Andrea, non bastava leggere il libro di Teresa, serviva lei, che aprisse il suo cuore: abbiamo fatto lunghe sedute insieme, che mi hanno permesso di entrare nella mente di Andrea e chiudere la sceneggiatura è stato doloroso, è stato doloroso lasciarlo andar via. Andrea era sorridente e solare, ma il silenzio se l’è tenuto dentro e ha fatto crack. Lui si uccise poco dopo il suo compleanno, una scena, quella della festa, che è stata infatti molto tosta: lì abbiamo capito che il materiale emotivo del film fosse pronto a esplodere”.

 

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