“Non so se sono io che non so stare al mondo”: in questa battuta si concentra lo spirito di Giulia, la protagonista dell’omonimo Giulia – una selvaggia voglia di libertà, terzo film di Ciro De Caro, in uscita nelle sale il 17 febbraio distribuito da Koch Media, dopo essere stato presentato alle ultime Giornate degli Autori di Venezia. Interpretata da Rosa Palasciano, che ha anche co-scritto la sceneggiatura, Giulia è una giovane donna, bella e inafferrabile, che nei suoi comportamenti imprevedibili, schivi e istintivi, risulta incompatibile con la società che la circonda. Dopo aver perso il proprio alloggio, si muove senza metà per la Capitale, spinta da un conflitto che la dilania: mentre cerca un posto da chiamare casa e delle persone da chiamare famiglia, infatti, è attratta dagli spazi aperti, dalla libertà assoluta che rappresenta il mare.
“Giulia cerca di riempire un vuoto e, al tempo stesso, vuole lasciarsi attorno quanto più spazio possibile. – dichiara Ciro De Caro – La sua ambiguità nasce da questa scissione. Non è pazza, non è depressa. Per come la vedo io, siamo tutti un po’ pazzi, ma c’è una pazzia più comune che viene accettata e una più particolare, che fa accendere una spia sulla testa di alcune persone. Ingiustamente”.
Il film stupisce per il realismo con cui si cerca di entrare nel cuore dei personaggi. Un realismo che lascia ampio margine all’interpretazione e all’improvvisazione degli attori, in una ricerca continua che parte da un punto e non si sa dove andrà a finire. “Il mio motto è: considera l’errore un’intenzione nascosta. – continua il regista – e cioè essere pronto ad adattarsi a quello che succede. Gli imprevisti non sono una limitazione ma uno stimolo a trovare qualcosa di più originale. Quello che dicevo alla troupe e agli attori è di lasciarsi sorprendere, per questo non ho neanche voluto una segretaria di edizione”.
“Ciro coglieva ogni occasione per trovare qualcosa che raccontasse la città. – afferma Rosa Palasciano – La chiave della freschezza del film era stare in ascolto dell’atmosfera del luogo e anche di ciò che abbiamo costruito noi attori. Abbiamo lavorato molto sull’aspetto animale di Giulia, sui suoi atteggiamenti più organici e fisici. Per interpretarla, Ciro mi ha chiesto di pensare a una volpe”.
La ricerca di veridicità si fa evidente in tutte le interpretazioni attoriali, che letteralmente sostengono il film con la loro intensità incentrata tutta sulla sottrazione. Il rigore di questa scelta registica si legge nella scelta di aggiungere attori non professionisti, mettendoli comodi nei loro panni. Come nel caso del critico e appassionato di cinema Fabrizio Ciavoni, che nel film interpreta un personaggio che si chiama come lui e che rappresenta “una versione abbellita di me stesso”.
Giulia è un’eccellente istantanea della nostra società, riuscendo a riprodurre un disagio psicologico e sociale che è dilagato nell’ultimo biennio di pandemia. Attorno alla protagonista si muovono una pletora di personaggi che come lei si trovano scomodi nel mondo che li circonda. Come Sergio, che prova a racimolare qualche spicciolo leggendo svogliatamente classici della poesia o dipingendo semplici ritratti. “Il personaggio che interpreto è un anti-eroe. – spiega l’attore Valerio Di Benedetto – Un uomo spezzato e irrisolto. Sono tutti personaggi rassegnati a vivere alla giornata e in questo il film ricorda un po’ I ragazzi di vita di Pasolini”.
Il film mette continuamente a disagio lo spettatore, che resta instabile sulla poltrona conformandosi alla precarietà delle vite dei protagonisti. Eppure, alla fine, quando si coglie l’onesta purezza della ricerca di Giulia, così disperatamente bisognosa di libertà e spensieratezza, ci si stupisce a provare un sentimento tanto sincero quanto inaspettato: l’invidia.
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