CIAO VITTORIO #1


“Quando dissi che volevo fare il film con Gassman protagonista, tutti credettero che scherzassi… Mi proponevano qualsiasi altro, purché non fosse Gassman. Tenni duro, insistetti e alla fine Cristaldi sposò la mia causa e disse: “Va bene, facciamolo con lui purché però lo nascondiamo dietro una serie di attori di chiamata””. Così ricorda Mario Monicelli, parlando al microfono di Franca Faldini e Gofredo Fofi, a proposito dela nascita dei Soliti ignoti. Gassman stava perpetuando il destino dei mattatori del teatro italiano, allergici al cinema, incapaci di replicare sullo schermo il loro successo dinanzi alle platee.
Lo stesso Vittorio non aveva pietà di quanto aveva fatto nel cinema prima del 1958, l’anno dei Soliti ignoti. “Dei film che ho interpretato dal ’46 fino a I soliti ignoti“, aveva scritto su “Epoca”, “una ventina sono orrendi, alcuni mediocri, quattro o cinque si salvano…”. Magro bilancio. Ma del tutto provvisorio.
Gassman, a differenza dei mattatori del passato, aveva capito che un attore di ferrea professione deve saper fare tutto: dalla tragedia greca alla farsa. E si adattò alla situazione, brutalmente sintetizzata da Carlo Ponti in una conversazione privata che un giorno ebbe con me: “L’attore maschio in Italia, con l’unica eccezione di Nazzari, può fare una cosa sola: il buffone”.
Si adattò perfettamente, tanto da non sfigurare davanti a un campione della risata, quale Alberto Sordi. Con l’andar degli anni, sfoderò l’arma in più: l’arma di chi non è legato a un solo personaggio, ma può farli tutti. Perciò la sua stella non conobbe eclissi: poté illuminare tanto Cinecittà quanto Hollywood. Anche in ruoli drammatici, come quello stupendo del comandante della fortezza Bastiani nel Deserto dei Tartari di Valerio Zurlini. Gassman, dopo Volonté e Mastroianni, lascia un altro vuoto irriempibile nella bucata tela attoriale del cinema italiano.

autore
30 Giugno 2000

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