LECCE. “La sceneggiatura di Fräulein. Una fiaba d’inverno mi è piaciuta da subito perché c’era un personaggio diverso dai miei soliti così misogini, maschilisti, parolacciai e prepotenti. Non ho mai interpretato un personaggio tenero e infantile come il Walter di questa opera prima di Caterina Carone”. Christian De Sica, Ulivo d’oro alla carriera al Festival del cinema europeo che gli dedica una rassegna di 10 titoli da lui selezionati, nella quale non figura nessun cinepanettone, è il protagonista insieme a Lucia Mascino di un film prodotto da Tempesta e Rai Cinema e in sala il 26 maggio.
De Sica è un turista buffo, un po’ misterioso e signorile che arriva all’improvviso nel piccolo albergo di montagna, chiuso da tempo, dove vive da sola Regina, la proprietaria. Una 40enne scontrosa, senza marito e figli, un po’ acida, che trascura la propria femminilità. Regina ha trovato un suo equilibrio precario assistendo alcuni anziani del paese e giocando a carte con due amiche. L’arrivo di Walter, ospite inatteso, spezza quella routine e mette in comunicazione due solitudini.
De Sica come mai ha scelto un film di una esordiente?
Mi ha colpito la sensibilità femminile di questa storia così magica, una storia non d’amore ma d’amicizia. Grazie a un incontro/scontro le vite di Walter e Regina cambiano. E‘ un film piccolissimo che esce in 25 copie, ma andava fatto perché mi pulisco di tante cose, mi fa crescere. Mi ha detto l’autrice: nel film arrivi vestito come nei cinepanettoni, con il colbacco di pelliccia e il moncler gonfio, e poi piano piano cambi. Come del resto sono cambiato io nella recitazione di questo film.
Presto tornerà a essere diretto da Neri Parenti?
Prossimamente non farò un film con Neri, mi auguro di farlo con Fausto Brizzi, ci stiamo pensando, sarà un’altra prova. Forse sarò in televisione, mi hanno proposto di condurre ‘Zelig’ e di tornare a ‘Striscia la notizia’, vediamo che succede. La prossima stagione teatrale riprenderò lo spettacolo “Il principe abusivo” per la regia di Alessandro Siani.
Paolo Genovese con Perfetti sconosciuti ha appena vinto al Tribeca Film Festival.
Un riconoscimento internazionale che s’aggiunge ai due David vinti che dicono basta al cinema autoriale e premiano un cinema più leggero, che è poi una delle cose che sappiamo fare meglio nel nostro paese. Del resto nei festival ci vanno sempre quei film che hanno un fondo politico o d’autore.
Perché non torna a lavorare con Carlo Verdone?
Per 30 anni sono stato scritturato da Aurelio De Laurentiis e con Carlo ho fatto tre film mentre era sotto contratto con Vittorio Cecchi Gori. Quando Carlo è passato alla Filmauro, non è stato più possibile perché De Laurentiis voleva fare comunque due film. Forse ne L’abbiamo fatta grossa ero più giusto io di Antonio Albanese, lui e Verdone sono simili, due Sancho Panza, mentre io sono Don Chisciotte. Potremmo essere due cognati che rimangono soli a Roma…
Un film con Checco Zalone?
E chi non lo farebbe, di corsa. Potrei interpretare suo padre o uno zio. Lo stimo molto. All’inizio tutti pensavano che fosse un fessacchiotto, invece è un uomo colto e intelligente. Piace perché è politicamente scorretto.
Quando ha scelto di diventare attore?
Quando l’ho detto a mio padre che mi rispose che dovevo studiare e laurearmi: “L’Accademia d’arte drammatica? No per carità che poi diventi una copia di Vittorio Gassman. Fai il doppiatore”. E ho cominciato doppiando i ragazzi della mia età.
Più di 100 i film interpretati?
C’è una diatriba tra me e Silvia, mia moglie. Lei dice 90, io 106 perché conto pure le partecipazioni. Il primo risale a quando era fidanzato con Isabella Rossellini. Mio padre non mi aiutava perché voleva che facessi l’università e io invece grazie a Roberto Rossellini lavorai nel film tv Blaise Pascal, 1972, nei panni di un luogotenente criminale. “Fai un po’ di meno, non fare come tuo padre”, mi diceva Rossellini che non amava tanto gli attori. Poi una decina d’anni dopo con Sapore di mare è arrivata la svolta.
Quale titolo preferisce della retrospettiva presentata qui a Lecce?
Faccione che ho soltanto diretto ed è interpretato da Nadia Rinaldi, al suo debutto. Lei veniva dal laboratorio di Gigi Proietti, una sorta di Ornella Muti insufflata, molto vitale. Scrissi questa storia pensando a un’amica mia e di Verdone, che ci raccontava un sacco di frescacce a noi ragazzini. Una mitomane.
C’è anche nella rassegna The Clan, film meno fortunato della sua carriera?
L’ultimo che ho diretto, scritto con Brizzi e Martani, e che andò malissimo. Era all’origine uno spettacolo musicale per il teatro, ma il produttore mi convinse a farne un film, troppo cantato e ballato. E poi in Italia i film musicali difficilmente incontrano il pubblico. Avevo un contratto con De Laurentiis per altre due regie e invece dirottai sui cinepanettoni.
Una formula che è durata nel tempo.
Lo si deve anche all’arrivo di Brizzi e Martani sceneggiatori che hanno portato linfa nuova ai cinepanettoni. Sembra una sciocchezza realizzare film del genere, ma far ridere per oltre un’ora e mezza è difficile. Gli attori comici sono dei battutari, ma occorre un bravo sceneggiatore che ti dia la situazione comica e le battute vengono di conseguenza.
A che punto è il suo progetto La porta del cielo?
Forse non lo farò mai, da più di 10 anni ci provo con questa storia d’amore tra i miei genitori. L’ultimo tentativo è stato con il regista inglese Peter Chelsom, che aveva scelto a Roma le location ma non aveva il denaro. Mi auguro che lo diriga un giorno mio figlio Brando che sta per debuttare nella regia con Mimì principe delle tenebre, scritto con Ugo Chiti e che sarà prodotto dalla Paco.
“Il tentativo è di fare quella che noi definiamo l’epopea comedy cioè immaginare una saga all’americana però con un tono di commedia" spiega la sceneggiatrice che firma con il regista Sydney Sibilia e Luigi Di Capua lo script dei due Smetto quando voglio - Reloaded e Revolution, le cui riprese in contemporanea sono iniziate prima di Pasqua. Ha anche cosceneggiato Nella battaglia di Francesca Comencini con protagonista Lucia Mascino, ciak il 6 maggio, e il drammatico Acqua santa di Laura Bispuri
Premio Miglior Sceneggiatura e Premio FIPRESCI a Ines Tanović per Our Everyday Life; Premio Speciale della Giuria a Virgin Mountain di Dagur Kári; Premio SNGCI Migliore attore a Peter Mullan per Hector
Virgin Mountain di Dagur Kari e Baby(a)lone di Donato Rotunno fanno parte del Concorso europeo del Festival di Lecce. Il primo, vincitore di tre premi (Miglior film, attore e sceneggiatura) all’ultimo Tribeca Film Festival, è una malinconica commedia, ambientata nella capitale islandese sferzata dalla tormenta di neve, con protagonista un 40enne obeso, che vive ancora con la mamma. Il secondo film è un dramma lussemburghese di preadolescenti, cresciuti troppo in fretta, entrambi in fuga dalla scuola e da situazioni familiari disastrose che li hanno induriti
Tre fratelli protagonisti de La gente resta, documentario di Maria Tilli prodotto da Fabrica con Rai Cinema e presentato al Festival di Lecce. Il racconto di una resistenza all'inquinamento ambientale