VENEZIA – Chiude in bellezza con il remake de I magnifici 7 questa 73ma Mostra, e il film di Antoine Fuqua, che attualizza il mito inserendo nel cast un nero (Denzel Washington), un asiatico (forse omaggio all’origine del tutto, I sette samurai di Akira Kurosawa, tra l’altro vincitore del Leone d’argento nel 1954) e un Indiano Comanche, nonostante le critiche ricevute a Toronto, stappa un sentito applauso a fine proiezione, che ha anche probabilmente la valenza ‘catartica’ di festeggiamento da fine Festival. Si tratta in verità di un onesto prodotto di intrattenimento, epico e – a parte i cambiamenti di cui abbiamo detto e una leggera propensione al senso dell’umorismo, che modernizza il tutto – abbastanza classico, con inquadrature che citano l’originale anche nella resa grafica, con tanto di grana e colori saturi. Tra gli altri volti famosi del lotto si riconoscono quello di Chris Pratt (presente in conferenza insieme a Washington e al regista) e quelli di Ethan Hawke, Peter Sarsgaard e Vincent D’Onofrio.
“Dare una rinfrescata era necessario – dice il regista – ma la storia resta quella originale, con il suo finale drammatico e il senso di sacrificio e redenzione. Si tratta forse di una visione più realistica, perché le etnie nel 1874 erano miste. Il ‘west’ è in realtà ovunque finisse la frontiera e dove uomini e donne coraggiosi si spingevano con la pistola in mano ma in cerca di uguaglianza. Essere un ‘samurai’ significa ‘servire’, quindi aiutare i deboli, difendere il bene e sacrificarsi e questo doveva assolutamente restare intatto. Ho rassicurato subito il produttore che sarebbero morte parecchie persone.
La magnificenza sta in questo. Si paga sempre un prezzo per la vita che si sceglie di condurre. Un ruolo sostanziale lo svolge anche il personaggio femminile di Haley Bennett: “Spesso sono le donne che vengono a salvarci – dichiara Pratt – e credo assolutamente nel girl power. Non è certo una damigella in pericolo. Ma credo in generale che eroismo significhi esporsi per proteggere gli altri, come fa mio fratello che è un poliziotto o come fa chi si mette al servizio del suo paese. Naturalmente non posso pensare al western senza nominare il vostro Sergio Leone, di cui in verità sono appassionato da cinque sei anni. E’ stato un rivoluzionario: non c’erano più i buoni e i cattivi. I cattivi erano i buoni e magari nemmeno avevano un nome. E’ stato lì che mi sono appassionato al genere ed è bello che questo abbia coinciso con la possibilità di esserne parte. Ho imparato ad andare a cavallo e mi sono preso i miei tempi. E’ molto più difficile che con i dinosauri in cgi”, diche scherzando riferendosi alla sua partecipazione a Jurassic World. “Naturalmente – dichiara Washington – è anche molto divertente. Da bambino non vedevo molti western, i miei erano molto religiosi quindi vedevamo I Dieci Comandamenti o Il re dei re, ma giocavo con gli amici a cowboy e indiani e ora essere un cavaliere nero con un vestito nero con un cappello nero su un cavallo nero realizza un po’ il mio sogno di bambino. Inoltre ci hanno pagati. Non serve nemmeno spiegare troppo la backstory dei personaggi. Come in Man on fire, sai solo che Dio ha motivo di non perdonare i protagonisti”.
E anche stavolta il sottotesto può essere interpretato in maniera politica, con i ‘buoni’ che rispondono con la violenza alla violenza di un ‘terrorista’ che minaccia i contadini: “Fondamentalmente – conclude Fuqua – per noi si tratta di intrattenimento. Ma va bene anche questa interpretazione, è giusto che il pubblico dia la sua.
Sarà Microcinema a distribuire nelle sale italiane il film Leone d'Oro 2016, The woman who left, nuovo capolavoro di Lav Diaz. La pellicola, che nonostante il massimo riconoscimento al Lido non aveva ancora distribuzione e che si temeva restasse appannaggio soltanto dei cinefili che l'hanno apprezzata alla 73esima Mostra di Venezia, sarà quindi visibile a tutti, permettendo così agli spettatori del nostro Paese di ammirare per la prima volta un'opera del maestro filippino sul grande schermo
Il film di Denis Villeneuve segnalato dalla giuria di critici e giornalisti come il migliore per l'uso degli effetti speciali. Una menzione è andata a Voyage of Time di Terrence Malick per l'uso del digitale originale e privo di referenti
Il direttore della Mostra commenta i premi della 73ma edizione. In una stagione non felice per il cinema italiano, si conferma la vitalità del documentario con il premio di Orizzonti a Liberami. E sulla durata monstre del Leone d'oro The Woman Who Left: "Vorrà dire che si andrà a cercare il suo pubblico sulle piattaforme tv"
Anche se l’Italia è rimasta a bocca asciutta in termini di premi ‘grossi’, portiamo a casa con soddisfazione il premio Orizzonti a Liberami di Federica Di Giacomo, curiosa indagine antropologica sugli esorcismi nel Sud Italia. Qualcuno ha chiesto al presidente Guédiguian se per caso il fatto di non conoscere l’italiano e non aver colto tutte le sfumature grottesche del film possa aver influenzato il giudizio finale: “Ma io lo parlo l’italiano – risponde il Presidente, in italiano, e poi continua, nella sua lingua – il film è un’allegoria di quello che succede nella nostra società". Mentre su Lav Diaz dice Sam Mendes: "non abbiamo pensato alla distribuzione, solo al film. Speriamo che premiarlo contribuisca a incoraggiare il pubblico"