Chabrol: “Venezia è meglio di Cannes”


À DOUBLE TOURGran gourmet e gran cinefilo, Claude Chabrol chiude l’incontro con i giornalisti consigliando un ottimo ristorante di Parigi, il meno caro tra i più costosi: e c’è da credergli se la prima cosa che ha fatto arrivando a Torino è andare a cena al Cambio, seduto al posto che fu del Conte di Cavour.
Qui il Festival gli dedica (e gli dedicherà anche l’anno prossimo) una retrospettiva mai vista (52 film più una ventina di lavori televisivi) in collaborazione con la nuova Cinémathèque di Bercy che proporrà questa integrale a dicembre 2006 e gennaio 2007: si va in ordine cronologico, dal primo film (Le beau Serge del ’57) all’ultimo, almeno per ora, L’ivresse du pouvoir, che sarà probabilmente a Berlino 2006 e in cui l’amata Isabelle Huppert è un magistrato che fa quasi ammattire suo marito per dedicarsi anima e corpo a uno scandalo che coinvolge una multinazionale petrolifera. Il plot è ispirato a un fatto realmente accaduto nella Francia di Mitterrand anche se rielaborato dalla fantasia noir dell’uomo che nel ’57, insieme a Rohmer, sdoganò l’arte sottovalutata di Hitchcock. Ma il 75enne Chabrol è troppo arguto per non sapere, applicando la regola a se stesso, che “adesso sono sottovalutato, ma tra cinque anni sarò sopravvalutato e non si sa se rispetto alla sottovalutazione o alla giusta valutazione”.

LES BONNES FEMMESViene da Parigi e dunque dice la sua anche sui disordini delle banlieue. “Il risultato di tanti sbagli delle autorità: pigrizia, sciocchezze e incomprensioni perché quando è cambiato il governo hanno smantellato tutto il sistema delle periferie, dalla polizia di quartiere agli educatori, solo perché era un’invenzione del governo precedente. Non so se lo facciano anche in Italia? Ma adesso Chirac è costretto a riflettere, a inforcare gli occhialini da intellettuale, che non aveva mai messo in 25 anni di discorsi, di fronte a un fenomeno che non ha neanche toccato il cuore della metropoli, perché questi ragazzi, forse saggiamente, bruciano le macchine dei loro genitori e le loro scuole. La loro è una rivolta, non una rivoluzione. Credo che potrebbe trovare le giuste risposte: condizioni di vita accettabili e occupazione”.
Di lui dicono che è un entomologo, un genio dei piccoli soggetti, un osservatore della borghesia di provincia e delle sue morbose deviazioni. “Uso il microscopio più che il telescopio, il mio cinema non ha lo sguardo cosmico di Star Wars, che in fondo racconta una storia che potrebbe essere ambientata in una famiglia piemontese”. Dissacratore per vocazione intellettuale, nel suo libro più recente, che ci dicono godibilissimo (“Laissez-moi rire!”) se la prende persino con Luchino Visconti, di cui detesta Il Gattopardo e Morte a Venezia. Ma apprezza l’improvvisazione dei set italiani e adora un pugno di nostri attori: Ave Ninchi, Stefania Sandrelli, Franco Nero. “Sono rilassati, spiritosi, divertenti”. Tra i festival predilige Venezia e San Sebastian. “Venezia perché è Venezia. San Sebastian perché nella città vecchia c’è un piccolo bistrot dove cucinano tutti i funghi della terra”. Non ama per nulla Cannes: “E’ un mostro che si alimenta di se stesso, non fanno il festival, ma il festival del festival”. Poi strizza l’occhio a Torino, che lo trasforma in argomento di studio. In cambio del favore, ha portato anche quello che definisce il suo film più bello, 13 minuti ispirati a M di Fritz Lang (M le maudit). Ne discuterà col pubblico e con Enrico Ghezzi.

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16 Novembre 2005

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