Se in Habemus Papam il pontefice appena eletto si sottraeva alle nuove responsabilità, in Viva la libertà di Roberto Andò – dal suo romanzo, “Il trono vuoto”, Premio Campiello Opera Prima 2012 – il leader di sinistra e segretario del principale partito d’opposizione, improvvisamente scompare una sera mentre i sondaggi lo danno perdente nell’imminente scontro elettorale. Il protagonista Enrico Oliveri (Toni Servillo) si rifugia a Parigi in casa di Danielle (Valeria Bruni Tedeschi), suo ex grande amore, mentre il fedele assistente Andrea (Valerio Mastandrea) e la moglie Anna (Michela Cescon) ignari della sua destinazione e delle motivazioni più profonde di questa fuga, chiedono alla fine aiuto al fratello gemello, conosciuto con lo pseudonimo Giovanni Ernani, un filosofo geniale, appena dimesso da una casa di cura. E’ lui a prendere il posto del segretario e lo fa con grande impegno e passione, parlando una nuova e differente lingua che scuote il partito, i simpatizzanti e la piazza e fa risalire il consenso intorno al progetto politico che rappresenta. Ma qualcuno dal suo nascondiglio segreto ne segue i movimenti.
Viva la libertà , prodotto da Bibifilm e Rai Cinema, in associazione con Bnl Gruppo Paribas, e distribuito da 01 dal 14 febbraio, in 100 copie, è un film sospeso tra paradosso e realismo, tra commedia e intelligenza critica, un film dove la leggerezza è di casa e la speranza di tempi migliori non viene meno.
Non cercate nel film riferimenti con i leader politici odierni della sinistra, avverte subito Servillo che non ha mai pensato sul set né a Bersani né a Renzi. “I riferimenti un attore li va a prendere nell’immaginario e per Ernani, uomo non pazzo ma lucido, sono certi intellettuali eccentrici”.
Per il regista il senso più profondo del film sta nella scena del comizio del segretario di partito in piazza San Giovanni. Oliveri in realtà scandisce una poesia di Bertolt Brecht, intitolata ‘A chi esita’, così adatta al nostro presente. “Pone la questione della politica restituita nelle mani dei cittadini, perché non ci può essere una figura carismatica cui affidarla o chiedere una soluzione – spiega Andò – Del resto l’unica alleanza possibile, come dice Ernani, è con la coscienza della gente. Questo film è un atto di speranza, l’abbiamo sorvegliato e lo consegnamo a un Paese che ha speranza e sta muovendo le sue energie migliori per trovare una strada”.
Può darsi allora che ci sia stanchezza in un’l’Italia che è luogo di predatori, come emerge dalla vicenda del Monte Paschi di Siena, ma c’è anche una speranza soffocata dai condizionamenti e come dice Camus ‘quando la speranza non c’è, bisogna inventarla’.
“Non avevo voglia di lamentele e ho immaginato un personaggio che portasse il vento del cambiamento. Ernani – continua il cineasta – mi è venuto incontro pensando ad alcuni personaggi ‘clandestini’ dell’attualità che, quando vanno una volta in scena, portano con loro pensieri che creano rifrazioni”.
La presenza di Servillo è stata per il regista il requisito indispensabile per portare sul grande schermo il suo romanzo che tanto è piaciuto a Andrea Camilleri: “Nel suo volto c’è qualcosa di molto concreto e anche di ipotetico della vita”. Un’occasione ghiotta per Servillo è stata porprio la possibilità di cimentarsi con il tema del doppio, dei gemelli, e in più l’originalità sta nel fatto che il meccanismo è applicato alla politica. “Abbiamo girato prima tutte le scene di Ernani e poi quelle di Oliveri, così su quest’ultimo personaggio ho lavorato per sottrazione. Il segretario politico è una persona totalmente in crisi che vive la sua astrattezza e che inizia una sua ricerca degli inciampi della vita”. Il finale? Ambiguo risponde Servillo. “In fondo possiamo guardare a Oliveri come a un unico personaggio, una sorta di dottor Jekyll e Mister Hyde, nel quale Ernani fatica a venire fuori”.
Per Mastandrea è stata l’occasione di sperimentarsi “con quei secondi ruoli che mi piacciono tanto e che apprezzo spesso nei film americani. E’ la conferma della mia passione per il secondo posto, l’argento con l’aspirazione però dell’oro”.
Nel film l’unico riferimento reale al mondo della politica è per un attimo un manifesto di Enrico Berlinguer. “Il suo volto scavato, interiore e serio, proietta molto agli italiani. E’ un politico che ha vissuto momenti straordinariamente felici e che ha chiuso l’ultima sua parte di vita isolato. E poiché scommetto positivamente sul nostro futuro, Berlinguer è quasi una specie di talismano”, risponde il regista.
Ma scorrono anche le immagini, inizio anni ’80, di un Federico Fellini insolitamente arrabbiato e impegnato contro le interruzioni pubblicitarie dei film in onda sulle tv commerciali. “E’ un Fellini indignato verso ciò che ha rappresentato l’inizio di una degenerazione”, dice l’artista e teatrante campano. Un regista visionario che è sempre stato lontano dalla politica, si rende allora conto “che sta per franare una civiltà e la sua dimensione è quelle del testimone e noi raccogliamo quel testimone”, conclude Andò.
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