Catherine a testa alta

A testa alta (La Tete Haute), in uscita per Officine Ubu il 19 novembre, di Emmanuelle Bercot, ha aperto lo scorso festival di Cannes, con una storia di realismo sociale di grande umanità


A testa alta (La Tete Haute), in uscita per Officine Ubu il 19 novembre, di Emmanuelle Bercot, ha aperto lo scorso festival di Cannes, con una storia di realismo sociale di grande umanità, sul recupero e la riabilitazione di un ragazzo problematico, disastro a scuola e nella vita privata, teppista, violento ma fragile come un bimbo nei momenti di disperazione. Soprendente la prova del giovane protagonista Rod Paradot, supportato nel cast anche da Benoit Magimel e da Catherine Deneuve nel ruolo di una severa ma giusta giudice per l’infanzia che lo segue per oltre dieci anni. “Un ruolo che mi ha colpito – dice l’attrice, Commossa fino alle lacrime dall’accoglienza riservatale all’arrivo sulla Croisette – soprattutto perché parla di un mestiere che non si conosce. Vediamo i giudici in tv di volata ma non sappiamo quali sono le relazioni che intercorrono tra loro e i ragazzi che sono chiamati a giudicare. Certamente mi ha messo addosso una certa pressione ma è stato particolarmente importante ai fini della preparazione. Ho osservato quello che accadeva nei tribunali, sapevo che è un mestiere molto duro che si fa solo per vocazione. Richiede molto tempo e poi la capacità di sopportare la frustrazione, perché purtroppo non è possibile salvare tutti. Ma i giovani meritano e hanno bisogno di essere aiutati. Oggi è difficile trovare il tempo di seguire tutta la crescita di un ragazzo ma c’è un momento in cui si afferma rapidamente quello che sarà il loro futuro. Se a scuola inizi a lavorare male sarà sempre più difficile riprendersi. Penso che il ruolo dei professori sia anche quello di aiutare i ragazzi a modellarsi, a scegliere quelli che sono gli indirizzi che più gli si confanno”.

Di pressione, invece, non ne sente la regista, o almeno non per il suo ruolo d’apertura (una rarità per una donna): “Per me apre il film, dice. E’ scontato che le donne debbano avere gli stessi spazi che gli uomini e poi ci sono diversi film di registe donne in concorso come quello di Valèrie Donzelli. Non mi sento in ruolo minoritario, anche se non sono in concorso. Sono contenta che il film sia nel posto dove è. Con questo film volevo mettere in luce il lavoro di quelli che considero degli eroi, giudici per l’infanzia, educatori ed assistenti sociali, perché credo fortemente che nessun bambino possa essere di natura cattivo e che il ruolo delle istituzioni nel fornire la giusta educazione sia fondamentale, specie quando i genitori non possono occuparsene. In quel caso è la società ad avere le responsabilità di questi ragazzi. Se un ragazzo diventa violento e barbaro questo dipende dal fatto che non ha potuto essere educato come il suo vicino”. “Ho pianto quando ho letto la sceneggiatura – racconta l’interprete Rod Paradot – e naturalmente sono contento di essere stato scelto, ma è stato molto complicato perché io sono del tutto diverso dal personaggio di Malony. Subito sono stato messo alla prova con un vero lavoro di identificazione attoriale”.

Lo stile della pellicola, fondamentalmente un dramma, è però molto asciutto con aspetti che hanno del documentaristico: “Certamente alla storia serviva documentazione – spiega Bercot – e quindi il film ne ha tratto influenza. Probabilmente anche nella fotografia, piuttosto limpida ed essenziale. Volevo che ci fosse contrasto. Esattamente la stessa forza portata dagli attori. E’ un incontro tra fiction e documentario. Non parla solo dei personaggi ma documenta una serie di elementi che hanno a che fare con la società e la giustizia. Non sappiamo se il nostro protagonista uscirà dalla sua situazione ma non si tratta solo di lui, ci sono tantissimi ragazzi che necessitano di questo tipo di aiuto”.

Deneuve ha avuto anche l’opportunità di gettare acqua su una polemica che si era accesa una settimana prima del Festival, quando alcune sue affermazioni in un’intervista sulla rivista Elle avevano suscitato offesa negli abitanti della città di Dunkerque, dove il film era stato girato. Aveva detto infatti: “è una città molto triste, è un porto ma quello che veramente la fa andare avanti sono alcool e sigarette”. “Ma il fatto che io debba spiegare una cose del genere in una conferenza di apertura del più grande festival internazionale è già di per sé anormale – dice Deneuve – ed è un esempio tipico del danno che possa portare una frase estrapolata dal suo contesto. Una cosa veramente minuscola. Eravamo a fine riprese, ero triste. Avrò pure il diritto di dire quello che ne penso di una città”.”Naturalmente – aggiunge Bercot – nessuno qui pensa male di Dunkerque, adoro il nord, altrimenti non avrei scelto di girare lì”.

La conferenza si era chiusa ridendo sulla copertina di ‘Charlie Hebdo’ che riguardava proprio la presenza di Deneuve a Cannes (una caricatura un po’ abbondante dell’attrice con lo strillo ‘pacco sospetto sulla Croisette). “Non l’ho vista – disse lei – ma spero proprio che sia divertente”.

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13 Maggio 2015

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