Castellitto: con Amelio dalla Cina a Venezia


A Cannes con Il regista di matrimoni, a Venezia con La stella che non c’è. Sergio Castellitto, protagonista del nuovo film di Gianni Amelio, è transitato per il NapoliFilmFestival raccontando quei 70 giorni passati in Cina per girare il film tratto dal romanzo sulla morte di una fabbrica intitolato “La dismissione”. “Non ero mai stato in Cina e tutto quello che vedevo lo vedevo per la prima volta. Un’esperienza incredibile, in un paese dove convivono il Medioevo e la fantascienza. La cosa più buffa? Non ho mangiato una sola volta cucina cinese, ma solo spaghetti e sushi”.
Va di fretta perché sua moglie, Margaret Mazzantini, sta per partorire il quarto figlio della coppia, affiatatissima anche sul lavoro. Lei scrittrice, lui attore-regista con Non ti muovere (ma a teatro ha portato altri due testi: “Manola” e “Zorro”). “La nostra è una collaborazione non priva di ironia: la prima cosa che disse, quando lesse la sceneggiatura che avevo tratto da Non ti muovere, fu ‘è una schifezza’, poi cambiò idea e alla fine venne anche tre volte sul set, giusto il tempo di farla entrare in un’inquadratura verso il finale. Continueramo a lavorare insieme, e continuiamo a fare figli, anche se per quelli non ci danno il diritto d’autore. Ormai siamo i più prolifici in Europa insieme a Tony e Cherie Blair”.
A Castellitto (anzi, Castellitò alla francese), Napoli ha dedicato una retrospettiva che si concentra sui film realizzati oltralpe con autori come Luc Besson e Jacques Rivette. “Sono contento perché in Francia mi chiamano non per motivi di co-produzione ma perché gli servo davvero, magari per fare il turco o qualche altro straniero. In Francia c’è un grande rispetto per la figura dell’attore che ha un ruolo centrale, tanto è vero che a loro non verrebbe mai in mente di doppiarti come si fa spesso in Italia. Per il resto, soldi a parte, è proprio vero che siamo cugini, simili in molte cose, quasi in tutto”.
I soldi, ha proseguito l’attore che ha incontrato il pubblico napoletano in una piacevole chiaccherata animata da Antonio Monda, sono il quid che ci manca per essere esportabili insieme al rispetto per l’individualità dell’artista. “Dovremmo sganciarci dalle ideologie e sentirci liberi a tutti i livelli”. Magari con un po’ di megalomania. “Bisogna essere megalomani – ha aggiunto – per fare il mestiere del regista, io l’ho capito facendolo. Con la regia provo un’emozione studentesca, e infatti presto farò un film solo da regista, mentre come attore ho più tecnica& Anche se, per recitare, bisogna sempre lavorare sul panico e sull’incertezza, persino all’apice del successo della carriera”. Subito sono scattati gli aneddoti sugli inizi. La prima esperienza con Marcello Mastroianni a cui l’hanno paragonato illustri critici americani. Marcello gli resse il braccio tremante mentre Sergio pronunciava la sua unica battuta (il film era Il generale dell’armata morte, del 1982) facendosela quasi sotto dall’emozione. O l’esperienza grottesca con Mario Merola nella sceneggiata O’ carcerato, in cui rimase muto e inebetito e fu praticamente scacciato dal set.
Quindi butta là una definizione per i più amati tra i tanti maestri con cui ha lavorato. Marco Bellocchio: “Ha una sconfinata fiducia in me, la sua autorità è pari alle sue incertezze, ai suoi dubbi. Io sono cattolico, lui è ateo ma molto spirituale. Girando L’ora di religione siamo andati d’accordissimo”. Paolo Virzì (Caterina va in città ), “un uomo intelligentissimo e arguto che quando sta sul set sembra uno che ti è passato a trovare”. Giuseppe Tornatore, uno che non si fida di nessuno e se gli dici “piacere di conoscerti”, risponde “piacere? Vedremo tra un paio di giorni”. Gianni Amelio, infine, “un operaio del cinema, una persona complessa con una visione estremamente popolare. Simile a Luchino Visconti per la sua ascendenza letteraria”.

autore
09 Giugno 2006

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