Pitture, stampe artistiche, ma soprattutto locandine e manifesti da grande schermo per Renato Casaro, trevisano del ’35, ovvero L’ultimo uomo che dipinse il cinema, come recita proprio il titolo del film biografico che lo racconta percorrendo la sua opera: “Il film è il mio hobby, il mio hobby è il mestiere, il mestiere è la mia vita, e la mia vita è un film”, queste le sue parole che in voce off aprono il documentario, una galleria di suggestivi “quadri” del maestro, che inondano gli occhi di memoria cinematografica, montati in alternanza al suo narrare che accompagna l’immaginario iconografico, brillante prima donna di questo documentario, con musiche dalle sonorità evocative di mondi e racconti che rammentano ricordi narrativi e cinematografici di una grande Storia, quella del cinema.
Il Trieste Film Festival (17-23 gennaio), domenica 19, ospita l’anteprima mondiale del film scritto e diretto da Walter Bencini: segue la messa in onda su Sky Arte il 23 gennaio.
Migliaia sono le opere di cartellonistica che Renato Casaro ha disegnato e colorato per il grande schermo mondiale, con una storia personale che sembra far un po’ eco a quella del bambino di Nuovo Cinema Paradiso: Casaro infatti ha iniziato diciassettenne a disegnare le locandine dei film che passavano al Cinema Garibaldi di Treviso, in cambio dell’ingresso gratuito alle proiezioni in sala. Eppure è Roma, caput mundi della Settima Arte, a chiamarlo a sé: nel ’55 apre il suo studio privato a Cinecittà, battezzato così come il più giovane cine-pittore d’Italia – aveva 21 anni – passando da “C.Renè”, firma delle prime opere, a “R.Casaro”, autografo definitivo nel tempo.
In un decennio, e con La Bibbia (John Huston, 1966) prodotta da De Laurentiis – qui ricordata anche con immagini dell’Archivio Luce – Casaro approda poi a Hollywood, momento da cui inizia a collaborare stabilmente con Coppola, Bertolucci, Besson, Zeffirelli, tra gli altri: altisonanti sono i “titoli disegnati” dall’artista, da Il tè nel deserto a Balla coi lupi, Il nome della rosa, Nikita o Amadeus. Sodale il rapporto con Sergio Leone, sue le locandine di Per un pugno di dollari e C’era una volta in America, Terra quest’ultima che l’ha chiamato anche per il recentissimo C’era una volta a… Hollywood di Tarantino, film per cui Casaro ha creato i poster vintage fittizi, in attesa di mostrarci il lavoro realizzato per l’imminente film di Carlo Verdone.
Uno dei migliori aerografisti italiani, poiché usa creare con aerografo e pennello, prediligendo fogli A0 e A1, laddove però il cinema statunitense opta per il formato 75×105 cm. Renato Casaro viene annoverato anche come “il più grande iperrealista del mondo, più noto negli Stati Uniti che in Italia. Il manifesto resterà sempre il documento più importante, la carta d’identità del film. Senza il manifesto non si ricorderà il film, perché il web si dissolve”, testimonia nel doc Osvaldo De Micheli (CineRiz – Rizzoli – Demba), tra le diverse voci che celebrano e svelano Casaro in questo film, insieme a Enrico Vanzina, Goffredo Fofi e Aurelio De Laurentiis, per cui: “Non era uno che lavorava solo su commissione, uno che lavorava per denaro: era uno che, anzitutto, doveva avere un’ispirazione”.
Il documentario di esordio di Giuliano Fratini, presentato in anteprima italiana alla 31esima edizione del Trieste Film Festival, è anche un documento intimo dell’autore, coinvolto nel percorso di ricerca che lo accompagna alla scoperta di una storia occultata per decenni e che ha per protagonista Andrej Tarkovskij
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