I girasoli schiusi sotto il sole di Toscana. La meraviglia di San Petronio e dei portici di Piazza Maggiore a Bologna. Il Duomo che brilla nella notte milanese. I lupi dentro e poi ancora i “sorridenti” girasoli toscani: La mia ombra è tua di Eugenio Cappuccio, in anteprima al Taormina Film Fest in corso (vedi il nostro servizio video), è una storia d’amore che ha la forma di un prisma. L’amore per una donna, l’amore per la letteratura e le lettere classiche, l’amore per un padre mancato: sfumature potenti, tutte, che concorrono a raccontare la storia di Vittorio Vezzosi (Marco Giallini), scrittore di mezza età dalla vita un po’ sregolata – droga, night club -, ma il cui fondo umorale è tinto di malinconia, di ricordo del tempo andato, sia quello che l’ha reso una star della letteratura contemporanea – con la pubblicazione del romanzo best seller I lupi dentro, appunto – sia per la persona che l’ha ispirato, Milena (Isabella Ferrari), mai più rivista, poco sentita, e adesso, per un caso, rientrata nella sua vita, quella di un quasi eremita in una splendida quanto isolata casa di campagna tra le colline dell’Appennino.
L’amore e il viaggio sono gli ingredienti che si mescolano alla poesia, quella propria dell’animo di Emiliano e, perché no?, anche di Vittorio, due poli apparentemente distanti, invece – come lo stesso Vezzosi ammette al giovane professore – saldati insieme da un’intelligenza emotiva comune, fragile quanto articolata, empatica e figliale/paterna, quella dell’adulto verso il venticinquenne, ossessionato dalla perdita prematura del papà, che l’incontro con lo scrittore in fondo gli permette di elaborare.
La mia ombra è tua, dal romanzo di Federico Nesi, è non solo il titolo della commedia di Eugenio Cappuccio (già regista di Volevo solo dormirle addosso e di alcuni episodi della serie I delitti del Bar Lume), ma è anche un tatuaggio, che Vezzosi si fa scrivere sulla pelle quando di passaggio a Bologna, occasione in cui mette “sotto i ferri” anche Emiliano, affinché si scriva sul petto il ricordo perenne per quel tipo d’amore che li accumuna, ma è anche il titolo di un libro, quello che tutta l’avventura, on the road e nelle insenature delle pieghe dell’amore, portano Emiliano a scrivere, uscendo – o forse no, solo trasformando la propria essenza – da quel “bozzolo” in cui lui stesso ammette di essere sempre vissuto, sin da quando nato a Firenze nel 1996.
Se Cappuccio si destreggia tra i sentimenti dell’essere umano, non meno batte l’attualità, infatti, per far progredire la storia gioca su almeno un paio di concetti particolarmente attuali, quello dei social come mezzo tanto invadente quanto imprescindibile per la comunicazione contemporanea, con la figura dell’influencer Carlita Cosmei, “pin up” del web che ammicca espressamente al Vezzosi in Rete, e il concetto del vintage, sì tendenza ma qui metafora e strumento conforme a non lasciar mai andare il tempo che trascorre, forse quello più bello, quello non più capace di tornare, quindi da trattenere a sé.
Eugenio Cappuccio, in questo suo film, sceglie inoltre di citare, espressamente, e non solo a titolo di inchino, la Storia del cinema, lo fa con Insterstellar, opera usata per il ponte tra Vezzosi-padre e la figlia, e lo fa con La dolce vita, di cui lascia espressa traccia scritta a Emiliano, in particolare narrando la sequenza in cui Silvia (Anita Hekberg) trova un gattino solo nella notte e di lì chiede a Marcello (Marcello Mastroianni) di cercare un bicchiere di latte per sfamarlo, non solo un alimento, non solo una cura, ma, come Vezzosi spiega – voce fuori campo – a Emiliano, un bicchiere di latte che raccoglie e specchia la Storia del cinema, così come della Letteratura e della Poesia, non meno dell’amore in senso apicale e assoluto.
La mia ombra è tua – una produzione Fandango e Rai Cinema – esce in sala dal 29 giugno.
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