C’è un italiano dietro “Up”


In Italia, in pochi sanno cosa sia uno storyboard.
Poco usate nel nostro paese, le pre-visualizzazioni delle sequenze e delle inquadrature di un film, realizzate da disegnatori professionisti, un tempo rigorosamente a matita e oggi anche con l’ausilio del computer, sono considerate invece uno strumento indispensabile in USA, nel cinema d’animazione come in quello “live action”.
Irrinunciabili per il regista, che a volte le segue pedissequamente, altre volte le scarta per trovare soluzioni alternative – che però, senza lo storyboard, non gli sarebbero mai venute in mente – servono soprattutto a risparmiare tempo, soldi e pellicola, perché permettono di capire se una scena funziona o no prima di averla effettivamente girata.
Nessuno li vede (tranne, qualche volta, tra gli extra dei DVD), nessuno lo sa, ma gli storyboard contribuiscono alla riuscita di una pellicola esattamente quanto la fotografia, la sceneggiatura e gli effetti speciali, e dietro a un grande successo – anche commerciale – c’è probabilmente un gran lavoro di pre-produzione visiva a cui va riconosciuto il merito che gli spetta.

Come nel caso di Up, cartoon coprodotto da Disney e Pixar, il primo realizzato in Disney Digital 3D, che oltre ad aver aperto il 62mo Festival di Cannes ed ad aver incassato, nel mondo, 683 milioni di dollari, ha recentemento vinto ben due Golden Globe, per il miglior film d’animazione e la miglior colonna sonora.
Inoltre, la storia di Carl, pensionato che predispone la sua casa al volo con una miriade di palloncini per sfuggire al ricovero in una clinica per anziani, si è fatta notevolmente apprezzare anche dalla critica, che ha considerato il film non solo un divertente cartone animato digitale – quale in effetti è – ma anche una toccante riflessione sulla vecchiaia e sulla sua accettazione.
Dal 27 gennaio, chi ha perso Up all’uscita in sala potrà recuperare: il film sarà infatti distribuito per l’home video in DVD e Blu ray.

Per l’occasione, abbiamo scambiato qualche parola con Enrico Casarosa, che oltre ad aver realizzato lo storyboard di Up ha contribuito a crearne la storia.
Genovese d’origine, Casarosa si è trasferito a New York da ventenne, facendosi le ossa alla School of Visual Arts and illustration del Fashion Institute of Technology.
“Poi ho cominciato a lavorare in piccoli studi TV – racconta il disegnatore – dove facevo soprattutto design, personaggi, sfondi e props, ovvero gli oggetti di scena. Pian piano però mi sono interessato al movimento della camera, a un discorso più cinematografico. Da lì è nato l’interesse per gli storyboard: è un po’ come realizzare una versione a fumetti di un film.”
Così, semplicemente, Casarosa spiega il suo mestiere. Nel suo curriculum vanta la partecipazione a colossi come L’Era Glaciale (sul quale ha lavorato due anni), Ratatouille e Robots, ma non ha perso la carica entusiastica propria di chi è agli inizi.
“Non mi par vero di lavorare in Pixar – dice – è il top del top. Questi hanno fatto la storia, è quasi una religione. Qui c’è il massimo dell’attenzione al racconto, con la volontà di narrare soprattutto storie emozionanti. Ovviamente i tempi di lavoro sono molto più ampi che in tv e la qualità ne risente in positivo.”

Tra le sue influenze cita grandi cineasti come Kurosawa e Fellini, e naturalmente molti fumettisti: “Mi piace un sacco di roba giapponese di cui magari nemmeno ricordo il nome. Certo adoro Miyazaki e, tra gli europei, il grande Moebius.”
Ma quanto cinema, quanto fumetto e quanto computer ci sono nel suo mestiere?
“Oggi si lavora sempre meno a matita e sempre di più con le tavolette grafiche, che sono molto comode e velocizzano i tempi, perché permettono di saltare la fase di scansione e tutta una serie di altri problemi legati al disegno su carta. È una tecnica relativamente nuova, che si è sviluppata nel corso degli ultimi 4 o 5 anni. Posso vantarmi di essere stato uno dei primi a utilizzarla, con Ratatouille. All’inizio c’erano un sacco di luoghi comuni circa il disegnare direttamente al computer, ma ora lo fa circa l’80% degli artisti. Da un lato gli strumenti si sono fatti sempre più precisi e sofisticati, dall’altro abbiamo imparato come farlo al meglio. Anche se qualche volta, quando devi fissare un’idea, carta e matita sono ancora il mezzo più efficace. A livello di software usiamo programmi piuttosto semplici e conosciuti, come il Photoshop. Niente di particolare. La roba complessa arriva dopo, con le fasi di animazione.”

Le squadre che lavorano agli storyboard, prosegue poi Casarosa, “possono essere composte da un minimo di 3 a un massimo di 10 persone. C’è un supervisore e poi naturalmente il regista. Si tratta soprattutto di fare brainstorming, trovare idee e soluzioni interessanti. A volte ti chiudi due o tre ore in una stanza a parlare finché non hai trovato quel che cercavi, altre volte fila tutto liscio. In animazione lo storyboard rappresenta una fase del lavoro creativo già abbastanza avanzata. Nella maggior parte dei casi, se c’è un problema, riguarda le dimensioni dei personaggi. Anche i tempi di produzione non sono una ‘scienza’. Se tutto va bene, un paio d’anni sono sufficienti a realizzare ciò che serve per un film d’animazione di media lunghezza, ma se sono necessari cambiamenti in ‘zona cesarini’ le cose possono prendere una piega più lunga. L’importante è che alla fine ci sia un’idea precisa e il più possibile completa di come funziona il tutto: ci mettiamo anche le voci e una colonna sonora provvisoria.”

Di questi tempi, in cui la stereoscopia la fa da padrone, non si può evitare di chiedergli cosa ne pensa del 3D.
“È uno strumento in più – risponde – e come tale va usato, alla stregua delle luci o del posizionamento di camera. Si può scegliere il livello di profondità da conferire a ciascuna inquadratura e dunque lo si può usare funzionalmente alla storia. In Pixar cerchiamo di farlo poco e bene, evitando sensazionalismi. Un dito in 3D che ti si ficca nell’occhio venendo verso il pubblico può risultare molto disturbante e distrarre il pubblico dalla trama, dunque bisogna stare molto attenti.”

Chiudiamo la chiacchierata con qualche consiglio per chi vuole intraprendere il mestiere dello storyboard artist.
“Non sono in grado di consigliare una scuola – dice Casarosa – perché non ne ho mai finita una. Posso solo dire che l’amore e la passione per il cinema sono fondamentali. E lo studio, tanto studio. Guardate molti film, trovate i vostri ‘idoli’ cinematografici e analizzate le loro scelte. Perché è stata messa lì quella macchina da presa? Perché la luce va in quella direzione? Non preoccupatevi di emulare i ‘giganti’. Anche copiando, alla fine, viene fuori la propria personalità.”

autore
20 Gennaio 2010

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