CANNES – Ancora quattro titoli per ultimare il concorso, tra cui uno dei favoriti, Capharnaum di Nadine Labaki, e intanto con Burning è passato l’ultimo della nutrita e agguerrita pattuglia arrivata dall’Estremo Oriente puntando al palmarès. Viene dalla Corea del Sud l’opera di Lee Chang-dong, autore molto amato con titoli al suo attivo come Oasis e Poetry, premiato per la migliore sceneggiatura otto anni fa al Festival. Burning è una pseudo storia d’amore e un giallo sul tema della sparizione, ma soprattutto uno spaccato del mondo giovanile coreano. Basato sul racconto breve “Barn Burning” di Haruki Murakami, che viene dilatato a due ore e mezza di durata con digressioni e momenti estatici, inseguimenti e persino una parentesi processuale.
Haemi (Yong-seo Yun) è una giovane che prima seduce Jongsu (Ah-in Yoo), aspirante scrittore dalla vita sconclusionata con un padre accusato di violenze e una madre scappata di casa, poi, durante un viaggio in Africa, rimorchia Ben (Steven Yeun), giovane ricco, esistenzialista e un po’ vizioso, una specie di Gatsby contemporaneo, che vive di rendita e si vanta di dare fuoco alle serre abbandonate per puro svago. Jongsu, che ama Faulkner e si arrabatta tra lavoretti vari e la fattoria di famiglia ormai in disarmo, si occupa del gatto della ragazza. In realtà è un gatto fantasma (nel senso che non lo vediamo mai apparire quando lui va nell’appartamento per nutrirlo), come fantasmi sono i ricordi o pseudo ricordi che riemergono dal passato comune: perché Haemi e Jongsu sono cresciuti nello stesso villaggio, ai confini con la Corea del Nord, e forse lei era un po’ invaghita di lui, che forse l’ha salvata quando era caduta in un pozzo. Forse, forse, forse… Non si se per curiosità o per la forte attrazione che prova per lei, Jongsu subisce il triangolo a cui la ragazza lo costringe, frequentando Ben, da cui è al tempo stesso respinto e affascinato. Fino a che la scomparsa di Haemi non spinge la narrazione nella direzione del giallo con esiti imprevisti. E anche molto violenti, anche se il tutto è raccontato sempre con uno stile raggelato che non lascia spazio ad alcuna emozione.
“Quando mi sono messo a leggere il libro – dice il regista – mi sono subito accorto che era una storia molto bella ma in cui non succedeva nulla, eppure in questo nulla c’era un elemento di mistero molto affascinante che poteva essere sviluppato in un racconto cinematografico”. L’elemento che ha affascinato il regista è stato in particolare quello della rabbia: “Un’emozione che vivono persone di ogni nazionalità, condizione sociale, religione per diversi motivi. In particolare i giovani, in Corea, vivono momenti difficili, tra disoccupazione, assenza di speranze e nessuna prospettiva per il futuro. Per loro il mondo è divenuto un gigantesco puzzle”.
Nel team dei selezionatori troviamo l'italiano Paolo Bertolin, già attivo come consulente della Mostra di Venezia, insieme a Anne Delseth, Claire Diao, Valentina Novati e Morgan Pokée.
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