CANNES – Busan, Corea del Sud. Una giovane donna, So-young, abbandona un infante davanti a una “baby box”, uno spazio pensato per permettere a madri in difficoltà di abbandonare i propri figli in sicurezza. È questa la sequenza iniziale di Broker, il primo film girato interamente in coreano di Hirokazu Kore-eda, che per l’occasione si avvale di un cast di primo livello in cui spicca il divo di Parasite Song Kang-Ho, accompagnato da Gang Dong Won, Doona Bae, Lee Ji Eun e Lee Joo Young. Il regista vincitore della Palma d’oro per Un affare di famiglia nel 2018 torna a Cannes con un film che ancora una volta indaga i concetti di famiglia e, soprattutto, di genitorialità. “La famiglia è una cosa molto complessa – afferma l’autore – che non può essere definita in una parola. Anche ora, mentre continuo a fare film, è qualcosa su cui mi interrogo costantemente”.
È proprio con il suo ruolo di madre che deve entrare in contatto la protagonista So Young quando, vinta dai sensi di colpa, torna a recuperare il figlio e scopre che il bambino non è mai stato trovato. Poco prima di chiamare la polizia viene fermata da Dong-soo, uno degli addetti alla baby box, che le rivela che lui e il suo amico Sang-hyun, un uomo di mezza età che gestisce una lavanderia, hanno preso il bambino con l’intenzione di evitargli l’orfanotrofio, vendendolo a una coppia desiderosa di adottare. Insieme, dunque, iniziano un viaggio per trovare la coppia di genitori più adatta. A loro si unirà un bambino, involontariamente preso a bordo all’orfanotrofio dove è cresciuto Dong-soo. Ciò che non sanno è che una coppia di detective li sta seguendo con l’intenzione di arrestarli in fragranza di reato.
“Il baby box è un argomento controverso sia in Giappone che in Corea. – spiega Kore-eda – Nel mio film la poliziotta capo incarna l’opinione maggioritaria che esprime nella prima battuta del film: ‘se devi abbandonare tuo figlio, non metterlo al mondo’. Durante la fase di sceneggiatura e le mie ricerche in Corea, ho potuto ascoltare le storie di bambini trovati in una scatola per bambini, che si chiedevano: ‘È stata davvero una cosa positiva per me nascere?’, ero pieno di voglia di fare un film che potesse rispondere a questa domanda. Fin dall’inizio, ho pensato che sarebbe stata la storia di un broker che vende bambini affidati in una scatola per bambini, ma allo stesso tempo, anche una storia di come due donne ‘diventano madri’ attraverso il loro rapporto con il bambino. Con questo argomento, non volevo arrivare a una risposta in cui i bambini abbandonati si pentono di essere nati o la madre che si pente di aver avuto il figlio. Volevo che il film fosse in grado di fornire direttamente il messaggio: ‘È stato bello nascere’. In questo senso, Broker è un film sulla vita”.
Con la sua solita mano leggera ed educata, Kore-eda ci guida attraverso una storia con molto potenziale drammatico, che viene sempre smorzato dal tono tipico delle produzioni dell’autori giapponese. Una leggerezza che permea ogni cosa rendendo impossibile arrendersi al dramma. “È qualcosa che cerco sempre di fare. – racconta il regista – Quando la situazione è seria cerco di mettere qualche nota leggera e viceversa. Se raccontassi una storia triste senza altre sfumature, ho la sensazione che il pubblico sarebbe meno attento. Anche se le vite dei protagonisti sono dure, anche se compiono azioni contro la legge, voglio sempre avere un tocco umoristico su di loro. Mi piace questo contrasto e credo che il personaggio interpretato da Song lo rappresenti al meglio”.
La forza del film sta proprio nel lavoro sui personaggi e sul loro progressivo unirsi in una famiglia. Uno sforzo di riconoscimento dell’altro, di apertura alle altrui sofferenze che non può che toccare anche gli animi più duri. Ne è convinto anche l’attore Song Kang-Ho, uno che di ruoli complessi decisamente se ne intende: “Tutti i personaggi nel film sono persone non molto felici, non hanno né un passato né un presente felice. Kore-eda ci ha mostrato le loro vite quotidiane, ordinarie, che nascondono violenza e sofferenza invisibili. Lavorando su questo film mi sono accorto di quanto sia freddo il mondo in cui viviamo e di quanto sia importante imparare a scaldare il proprio cuore”.
Seppure forse un po’ pigro nello scioglimento finale, con il suo dipanarsi morbido e scorrevole il nuovo film di Kore-eda è ancora capace di toccare le corde giuste, rendendo facile l’immedesimazione a ogni spettatore, che si sia genitori, che si voglia diventarlo o che, semplicemente, ci si riconosca in quel calore confortevole che vuol dire trovarsi in una famiglia.
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