I suoi genitori sono morti in un tragico incidente. Possiede una villa con un passaggio segreto verso una caverna dove può rifugiarsi nei momenti di difficoltà. Il suo migliore amico è un maggiordomo che lo sostiene da quando era piccolo. Però, non è Batman. “E’ Bond – asserisce il suo interprete Daniel Craig – solo ed esclusivamente James Bond“. Il suo nome, del resto, lo conosciamo, come recitava la canzone portante di Casino Royale.
Con Skyfall, in uscita con Warner il 31 ottobre, l’agente al servizio di sua maestà britannica nato dalla penna di Ian Fleming porta a compimento il 23mo capitolo delle sue gesta al cinema, per oltre 50 anni di onoratissima carriera, che hanno visto più volti alternarsi nell’impeccabile smoking. “Ma io ho sempre voluto dare la mia versione – continua Craig, qui alla sua terza prova come 007, primo film su sceneggiatura originale – omaggiando gli altri ma senza copiarli. Per questo non alzo il sopracciglio, non mi sistemo i polsini e la cravatta e non bevo Martini. Non mi appartiene. Certo, ci sono riferimenti agli altri film, ma li abbiamo voluti rendere in maniera diversa, moderna. La trovata della villa assediata rimanda, nella mia visione, al western, più che a Batman. Ma è vero che in un film ci sono mille altri film”.
Una cosa è certa. Questo Bond non è un supereroe. Pieno di acciacchi e insicurezze, è forse il più umano mai visto sullo schermo. “E’ la storia di un uomo che è stato via per un po’ ed è tornato a un mondo che trova cambiato – commenta il regista Sam Mendes, particolarmente vicino al tema date le sue origini britanniche – il Regno Unito non è più la grande potenza imperialista che era un tempo. Non siamo “supereroi” e dobbiamo accettarlo. Tutti, anche Bond. E’ una sensazione che conosco e che avevo raccontato anche altre volte, per esempio in Away we go. Anch’io sono stato lontano da casa per sette anni, quando sono tornato tutto attorno a me era cambiato. Ero sempre nervoso. Il mio approccio è stato sobrio. Ho finto di non aver bisogno dell’azione, delle belle donne, delle location esotiche, e mi sono concentrato soprattutto su una storia personale che spingesse il personaggio oltre i suoi limiti, che lo mettesse di fronte alla sua età, alla sua fallibilità, agli eventi del passato che lo hanno segnato. Il resto è arrivato dopo. Craig è stato fondamentale. A volte nei film di Bond c’è talmente tanto che ci si dimentica del personaggio principale. La sua performance è stata straordinaria, era quel che mi serviva: stanco ma forte, deciso ma vulnerabile”.
E l’approccio, possiamo dirlo, funziona, riportando l’agente segreto ai fasti di un tempo dopo il deludente Quantum of Solace. Sbilanciandosi, qualcuno ha addirittura definito Skyfall il “miglior Bond di sempre”. Ci voleva la mano di un autore europeo per salvare il destino di 007? “Mi dicevo che stavolta non volevo fare una storia personale o difficile – dice ancora il regista – e invece sono finito per ricascarci. Quel che caratterizza i miei lavori è la volontà di scendere al livello del subconscio dove trovo cose da dire che siano importanti per me. Non ho sentito il peso di 50 anni di Bond-film alle spalle, anche se naturalmente c’era tanta aspettativa. Mi sono divertito con le citazioni. La scena in cui compare la mitica Aston Martin e parte il tema musicale tipico di Bond è davvero molto cool, ho dovuto tenere a bada il dodicenne che è in me. Le scene d’azione, invece, anche se sullo schermo sembrano fantastiche, da girare sono molto noiose. Sono giorni continui di ‘action’ e ‘cut’ per momenti brevissimi che vanno ripetuti un’infinità di volte. Poi li si mette insieme in sala di montaggio. Cerco di mantenere vivo il mio intuito e la mia immaginazione. Per ogni scena mi chiedo non solo se funzioni, ma anche se sia esattamente ciò che voglio”.
Javier Bardem interpreta un magnifico ‘villain’ sopra le righe: “Era stato un cattivo anche in Non è un paese per vecchi – dice Mendes – ma qui è molto più loquace. Volevo ci fossero degli aspetti comici nella sua natura. In gioventù il suo personaggio è stato una sorta di ‘doppio’ di Bond, quindi in sostanza rappresenta quello che lo stesso Bond potrebbe diventare. E’ stato distrutto, anche fisicamente, e si è ricostruito. Per questo volevo anche che sembrasse un po’ ‘falso’. Nell’epoca in cui è possibile modificare il proprio aspetto, come vorrebbe apparire un cattivo del genere?”
E’ anche un cattivo sessualmente ambiguo. “Il film è pieno di carica sessuale – commenta Craig – simbolicamente, tutti fanno l’amore con tutti, anche io e Javier. Rappresenta il potere, e il suo abuso. E’ un film molto sexy. Sappiamo che a Bond sono sempre piaciute le donne, in particolare quelle forti. Vederlo combattere con loro, anche nel gioco amoroso, è certo più interessante che vederlo dominarle. Il mondo è cambiato un bel po’, dal ’62”.
“Bond si rinnova anche nel rapporto con le donne – commenta la protagonista femminile Naomie Harris, nel film una ‘collega’ che si rivelerà per l’agente molto più importante di quanto paia inizialmente – la mia non è solo una ‘bond girl’ messa lì per bellezza, è un personaggio in cui le donne di oggi possono riconoscersi”. E a proposito di cambiamenti, alla bella attrice di colore chiediamo anche che ne pensa delle voci che vogliono imminente l’arrivo di un Bond nero, identificato nell’attore Idris Elba. “Penso che Craig sia un Bond perfetto e lo interpreterà ancora per un bel po’. Ha dato al personaggio un taglio meno fumettistico e più umano. Quando avrà finito il suo ciclo, spero che, come hanno fatto col mio personaggio, cerchino un bravo attore in ogni parte del mondo e lo facciano con l’intento di trovare il più adatto, senza la necessità che sia per forza un attore di colore”
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