La proiezione in Piazza Maggiore di Roma città aperta sarà ricordata per molto tempo come una delle più gremite che la rassegna Il Cinema Ritrovato abbia mai visto (si parla di 7.000 spettatori). La curiosità che, a quasi settant’anni dalla sua uscita, il primo capolavoro di Rossellini è ancora capace di suscitare non può che premiare lo sforzo dell’Istituto Luce Cinecittà, Cineteca di Bologna, CSC-Cineteca Nazionale e Coproduction Office, che insieme, da alcuni anni, stanno restituendo splendore all’opera di uno dei più grandi maestri del cinema italiano. Le prime parole di stupore ma anche di estrema soddisfazione sono state quelle del direttore della Cineteca di Bologna Gianluca Farinelli: “Che tutte queste persone ritornino a vedere o rivedere Roma città aperta dimostra oggettivamente quanto l’opera di Rossellini sia attuale. Proprio oggi che il nostro paese sembra scomparire e perdere velocemente la propria identità, molto del pubblico italiano credo sia sceso in piazza anche per un atto politico. Il film, all’epoca, segnava una ripartenza dopo gli orrori della guerra, e in qualche modo anche noi oggi ci troviamo in una posizione simile, in attesa come allora di ripartire”.
La grande attualità di questo film, portato alla 27esima edizione del Cinema Ritrovato, dopo un nuovo restauro, è stato anche argomento di un dialogo tra il conservatore della Cineteca Nazionale Emiliano Morreale e il critico francese Jean Douchet, figura tra le più autorevoli all’interno del nutrito gruppo di studiosi di cinema che ogni anno animano le presentazioni e gli eventi collaterali di questo festival. Douchet, analizzando il film attraverso l’intera opera di Rossellini, ha sottolineato l’importanza di questa pellicola a livello mondiale, indicando in essa l’inizio della cinema della modernità: “E’ come se Rossellini – afferma lo studioso – con un solo film avesse cancellato tutto e fosse tornato alle origini, al cinema dei fratelli Lumière. Ha eliminato il concetto di narrazione, di drammaturgia. E questo riprendendo l’istante, cancellando il concetto di durata. E basandosi su una sola idea fondamentale, quella dell’incidente, ha fatto entrare il futuro nel presente senza più bisogno di seguire uno sviluppo drammatico in senso classico”. Per il critico francese l’immortalità di quest’opera, che tra l’altro viene riproposta a quarant’anni esatti dalla morte della sua interprete principale, Anna Magnani, sta nella posizione stessa del regista rispetto al cinema: “Rossellini utilizzava il cinema per capire la vita, che per lui era appunto un continuo incidente, un frammento, una piccola scheggia, rispetto ad un tempo, un universo che viveva e avrebbe sempre vissuto in maniera permanente. Questo è stato il suo tratto geniale – continua Douchet – aver tradotto in immagini qualcosa che si può solo intuire, aver spiegato a tutti, in maniera semplice, un pensiero che portava con sé, in fondo, le grandi dottrine filosofiche del passato”. Di qui dunque il grande equivoco di un film spesso contestato e respinto (come molte delle pellicole che seguirono), portatore di una modernità talmente grande da creare una sorta di stordimento e di rifiuto.
E quando si parla di modernità ci si riferisce, ovviamente, anche alla tecnica usata da Rossellini in Roma città aperta. In questo senso sia Douchet sia Morreale sottolineano l’importanza della camera a mano, del cambiamento continuo delle inquadrature e dello zoom, che secondo il primo è forse uno degli elementi più rivoluzionari, tecnicamente, del film. Per Morreale la potenza di questo film è, ancora, qualcosa che passa attraverso la sua la straordinaria impurità, frutto non solo dell’assemblaggio di pezzi di pellicole diverse che sono servite per dargli forma, ma degli elementi della tradizione, convenzionali, che ancora compaiono ma che vengono spazzati via, soprattutto nella seconda parte del film, da una nuova concezione del mezzo cinematografico e, appunto da una nuova visione che, oltrepassando la concezione di tempo e di finzione, esprime in ogni film la ricerca di una dimensione spirituale.
Un altro incontro su Roma città aperta è stato poi quello dedicato, nello specifico, al tema del restauro, animato ancora da Morreale, Franca Farina (del CSC), Sergio Toffetti (archivio Nazionale del Cinema d’Impresa), Davide Pozzi (L’immagine Ritrovata) e Gianluca Farinelli. “Abbiamo pensato di organizzare una tavola rotonda intorno a questo argomento – afferma Morreale – perché ci sembrava che un film di questo tipo ponesse, rispetto al restauro, dei temi e degli interrogativi interessanti. Sicuramente il lavoro più importante è stato quello che nel 2006 ha permesso di verificare che effettivamente una delle tante leggende su questo film era vera e cioè che Rossellini aveva girato su tante pellicole diverse. Però quest’ultimo restauro, partito peraltro dal vero negativo del film – non per tutti c’è stata questa possibilità, Paisà ad esempio, che sarà pronto per settembre, non ce l’ha – ha cercato di perfezionare ulteriormente questa operazione di conservazione. Abbiamo lavorato sul digitale, in 4K, cercando di ripulire ulteriormente la pellicola ma senza eliminare le impurità, le sporcature che l’hanno resa grande. Il film mantiene dunque delle immagini meno nitide delle altre, degli sbalzi tra le diverse scene, e un sonoro che non abbiamo voluto ripulire perché altrimenti avremmo perso l’anima di questo grande capolavoro”.
Il film diretto da Vittorio De Sica nel ’61 è stato restaurato in 4k da Cinecittà e Filmauro, con la supervisione di Andrea De Sica. Per l’anteprima alla Festa del Cinema di Roma, le parole del nipote e del figlio, Brando e Christian De Sica
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