‘Black Flies’, Tye Sheridan e Sean Penn paramedici all’inferno

Nel film diretto da Jean-Stéphane Sauvaire, in concorso al 76mo Festival di Cannes Tye Sheridan e Sean Penn interpretano due paramedici di primo soccorso alle prese con le realtà più degradate delle p


CANNES – Un giovane uomo cammina per le strade di Chinatown a New York, sulle spalle del suo cappotto sono cucite delle ali dorate, nella sua stanza sudicia e spoglia un solo elemento decorativo: l’immagine di un arcangelo volante armato di spada. Si chiama Ollie Cross ed è un paramedico di primo soccorso in un’ambulanza, un angelo custode che veglia sulle strade della Grande Mela. Black Flies, film di Jean-Stéphane Sauvaire in concorso al 76mo Festival di Cannes, racconta la storia di Ollie, interpretato da Tye Sheridan, fin dalla sua primissima notte come paramedico. Al suo fianco troviamo il veterano Rut (Sean Penn), un mentore cruciale per superare il trauma di quella che viene raccontato come una guerra quotidiana in cui “non si possono salvare tutti”.

Ciò che colpisce fin dalle prime sequenze è la scelta registica del suo autore, un approccio radicale fatto di un montaggio frenetico, una camera a mano incerta e una colonna sonora stridente quando non assordante. Sauvaire vuole colpire allo stomaco lo spettatore, facendogli provare lo stesso senso di nausea del protagonista, alle prese con una realtà più cruda e violenta di quanto potesse minimamente aspettarsi. L’autore, ispirandosi al romanzo di Shannon Barke del 2008, sceglie di mostrarci una serie dopo l’altra di situazioni estreme, impedendoci di uscire dall’incubo a occhi aperti che i due partner devono affrontare quotidianamente. Un viaggio nei bassifondi della metropoli newyorkese, alle prese con criminali, tossicodipendenti e persone ai margini della società.

“Mi piace parlare della realtà delle cose e mi piace anche la fiction, le mischio sempre. – dichiara Jean-Stéphane Sauvaire – In questo film volevo raccontare non solo il mondo dei paramedici e delle loro ambulanze, ma gli abitanti di New York, volevo esprimere la loro verità. Volevo che gli spettatori potessero immaginare il passato delle persone dalla loro morfologia, il corpo dice un sacco di noi. Questo è un aspetto documentaristico: dipingere la realtà delle cose. È bello che le persone dei quartieri si siano fidati di noi”.

L’approccio documentaristico di Black Flies si evidenzia nel suo desiderio di denunciare le condizioni di vita e di morte di milioni di abitanti statunitensi, privi delle condizioni sanitarie minime che un paese occidentale dovrebbe garantire. “Le persone svolgono questi tipi di lavoro in gran parte con il desiderio di servire. – dichiara Sean Penn, noto per i suoi sforzi umanitari – E poi quello che scoprono è che sono assediati da dinamiche di giochi politici a breve termine. Questo film spero si aggiunga a questa conversazione. Speriamo tutti che lo faccia perché questa è una delle forze primitive dei salvatori: utilizzare i propri strumenti per creare un sistema sanitario migliore”. Un sistema che, secondo Penn, attualmente si limita a raccogliere corpi e cadaveri per arricchire le assicurazioni.

“Ho incontrato tanti paramedici insieme a Jean-Stephane. – racconta Tye Sheridan, in relazione alla fase di preparazione del film – Abbiamo parlato con medici che fanno i doppi o i tripli turni solo per mettere un po’ di soldi da parte. Loro hanno una grande responsabilità, si prendono cura della nostra società, sono i nostri angeli custodi. Non ci rendiamo conto dell’importanza del loro lavoro. Il film è molto attento nel raccontare con rispetto il problema della salute mentale in quella comunità”.

Questa preparazione ha portato a quello che è, insieme alla regia, l’aspetto migliore del film: ovvero le interpretazioni di tutti gli attori, chiamati a compensare una sceneggiatura che preferisce puntare sulla spettacolarizzazione del dramma dei paramedici – e dei loro pazienti – piuttosto che sull’approfondimento psicologico dei personaggi. Sheridan è perfetto nei panni del giovane travolto dalle circostanze, un ragazzo forse troppo buono per l’ambiente in cui si trova, in cui è necessario forzarsi a ridurre al minimo l’impatto emotivo del dolore e della morte. Penn, d’altro canto, riesce a costruire un personaggio ricco di ambiguità, che da mentore saggio rivela ben presto tutte le fragilità di un uomo alle prese con un mestiere che divora ogni aspetto della vita privata. Infine, c’è un terzo paramedico interpretato da Michael Pitt, “un angelo caduto” o un diavolo tentatore, che rappresenta l’opposto di Ollie o, peggio, ciò che rischia di diventare se “lascia entrare l’oscurità dentro di sé”.

“La prima volta che ho seguito dei paramedici a lavoro, ho visto un uomo morto a terra. – racconta Pitt – Loro lo riportarono letteralmente indietro dalla morte. Gli dissero cosa era successo e la prima cose che l’uomo disse fu: andate via da casa mia! Lo disse in maniera un po’ più colorita, in effetti. Queste persone salvano vite ogni giorno, e non credo che puoi realmente fare questo mestiere quotidianamente senza avere una qualche forma di disturbo da stress post-traumatico”.

Il PTSD è, in effetti, uno dei temi al centro di Black Flies, raccontando una delle categorie professionali più soggette a problemi psichiatrici e suicidi. Il mondo dei paramedici a NY è descritto dichiaratamente come un inferno in terra. L’unico modo per sopravvivere – come capirà sulla sua pelle lo stesso Ollie – è quello di non lasciarsi prendere dal senso di colpa per le centinaia di persone che non si riescono a salvare, perdonarsi e tornare a sorridere tutte le volte che un battito cardiaco compare dal nulla, vincendo il silenzio della morte.

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19 Maggio 2023

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