Cavalcare e fuggire, verso mondi lontani. Lo si può fare su un destriero oppure su un motorino. Due corti della selezione SIC@SIC, nata dalla collaborazione tra il Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI) e Cinecittà.
Sono Billi il cowboy di Fede Gianni e Phantom di Gabriele Manzoni.
Il primo si ambienta nella periferia romana, alla fine degli anni ’60. Billi è una bambina che sogna di fare il cowboy, e l’occasione si presenta quando un capo comparse giunge in piazze in cerca di giovani cascatori da cavallo. La sua famiglia, però, la osteggia.
Nel secondo di racconta della passione di Leonardo, ragazzo introverso, per il suo scooter Phantom F12. L’incontro con il carismatico Dylan, un pomeriggio tra musica techno e alcool, trasporterà però Lorenzo nel cuore di una vicenda complicata, fatta di violenza e umiliazioni.
“Conosco bene la campagna romana degli anni 60 – spiega Gianni – la zona Tiburtina, dove è cresciuto mio padre, che era sfegatato di western. Lì vicino c’erano gli Aero Studios. Conoscevo tutti i retroscena, i dietro le quinte. Ed è vero che si reclutavano stuntmen e cascatori, dando vita a storie simpatiche e rocambolesche, molto veraci”.
Una campagna che, proprio come l’Old West, è zona di frontiera: “Sì, stava diventando città. E’ stata una delle nostre difficoltà trovare un pratone con orizzonte a vista d’occhio, e infatti dalla Tiburtina ci siamo spostati sulla Laurentina, dove ci sono allevamenti e l’urbanizzazione è più lenta. Non è un western all’italiana ma proprio alla romana, con una componente abruzzese perché molti venivano da lì, facevano la transumanza”.
Il film affronta anche, delicatamente, il tema del gender. A Billi la famiglia ricorda che “una ragazza non può essere un cowboy”: “Mi è piaciuto inserire in questo tema nel mondo del western che sembra l’apoteosi della virilità. Ma in fondo, chi non vorrebbe essere un cowboy? E’ una figura archetipica dell’immaginario che ci fa pensare all’avventura, all’eroismo, all’essere intrepidi. E’ sempre stato affascinante anche per me. Inizialmente rifiutavo quest’idea un po’ machista ma poi mi sono riappassionato a quel genere e mi sono detto che in fondo il cowboy appartiene a chiunque. Billi usa uno pseudonimo soprattutto perché vuole esprimersi”.
Eccellente anche il lavoro sia con i bambini che con gli animali: “dicono che sia difficilissimo – commenta Gianni – i ragazzi non sapevano andare a cavallo, hanno preso lezione e sono stati grandiosi. I cavalli dal canto loro hanno le loro esigenze: se sono andati bene a galoppo hanno già fatto la loro performance, non è detto che gli vada di ripeterla. E poi magari partono a tremila quando dai l’azione. Sono attori anche loro, bisogna rispettarli”.
Su Phantom dice Manzoni: “Il corto nasce come esercitazione del mio primo anno di Centro Sperimentale. Hai delle direttive: la location deve essere Roma, gli attori devono appartenere alla scuola, eccetera. Ma ho cercato di portare all’interno di questa esercitazione la mia identità. Anche io ho vissuto nelle compagnie, ne ho avute tante e ho avuto anche un motorino, proprio come quello del film, era un modo di appartenere a un gruppo, di sentirsi anche migliore degli altri”.
Con che caratteristiche?
“Soprattutto la velocità, più andavi veloce e più eri considerato. In Giappone c’è la cultura della macchine, della modifica. Io sono del ’97 ma mi porto strascichi degli anni Novanta. In provincia i motorini erano molto presenti. Oggi non li trovi più. Sono stati sostituiti dal monopattino. Ai miei tempi la prima cosa che si faceva in terza media era prendere il patentino per poterne guidare uno”.
Ma il termine ‘Phantom’ ha anche una valenza simbolica: “Certo – continua l’autore – il protagonista è come un fantasma, che cercando sta cercando sé stesso. C’è attorno l’immaginario di periferia, ci troviamo a San Basilio, ma è tutto piuttosto astratto: faccio riferimento a certe sottoculture ma non proprio identitarie o radicate a Roma. In parte è autobiografico: il mio motorino me l’hanno rubato”.
Progetti per il futuro? “Sto montando il corto per il secondo anno di diploma e ho già un’idea per un lungo, ambientato a Zingonia, una località della provincia di Bergamo che doveva essere una città ideale, costruita dall’imprenditore romano Zingone, un po’ come fu Milano per Berlusconi. Un sogno che è andato a frantumarsi”.
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