BERLINO@2001 / LA TENDENZA


L’Italia che si interroga, l’Italia che ricorda, l’Italia vista ma non salvata dai bambini. Andremo a Berlino guidati dai ragazzini, portati per mano in un cinema che con lucida consapevolezza affonda la lama nelle pieghe della storia e nelle piaghe del reale.
Ci sono molti giovanissimi protagonisti nel treno italiano che sta partendo per Berlino. Le bambine orfane del Cielo cade, la ragazzina sola di Domenica, il tredicenne ammaliato di Malèna. Ma anche, in secondo piano, i figli adolescenti e disincantati di Riconciliati o la piccola paziente indomabile di Controvento: sguardi altri, vite sballottate, in balia di adulti non sempre all’altezza.
L’Italia che va a Berlino guarda con coraggio al suo passato oscuro. Parla di guerra, ferita che ancora sanguina (pensiamo a quanti film, nelle ultimissime stagioni, sono tornati a scavare nella Resistenza e dintorni) rivisitata e impersonificata dai Frazzi e da Tornatore; affronta il buco nero del terrorismo scrutando nel film di Rosalia Polizzi un non riconciliato all’indomani della scarcerazione che indaga, come un segugio, per sapere chi lo tradì.
L’Italia che va a Berlino parla, come è ovvio, di sentimenti. L’amore cercato, annodato e spento dell’intreccio tessuto da Emmer; l’amore frammisto di amicizia, solidarietà e rinascita catturato da Ozpetek, l’amore invidioso e torbido della Sicilia di Malèna. Ma anche il rancore della vendetta, l’odio razziale, l’offesa di due sorelle (quelle di Peter Del Monte) che si allontano. Fino alle solitudini di Domenica, ancora una volta un bambino e un poliziotto nell’Italia del Sud, tra i vicoli di Napoli, stavolta, che si annusano e si riconoscono e cercano, insieme, di sentirsi meno dannati.

autore
10 Gennaio 2001

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