Vittorio Moroni porta ad Alice nella città Se chiudo gli occhi non sono più qui, romanzo ‘di formazione’ che racconta la storia di Kiko (Mark Manaloto), sedicenne sofferente per la sua condizione di orfano (suo padre è morto in un incidente) e di figlio di immigrati (la mamma è filippina). Vivono con Ennio (un Beppe Fiorello in un insolito ruolo da ‘cattivo’), un capomastro che sfrutta la manodopera di immigrati clandestini e costringe anche Kiko a estenuanti turni sul lavoro, per saldare i molti debiti che il padre gli ha lasciato. Un giorno un vecchio amico del genitore scomparso, Ettore (Giorgio Colangeli), entra bruscamente nella vita del ragazzo: lo cerca e si offre di diventare il suo maestro. Tra i due nasce un rapporto di profonda amicizia, ma Ettore nasconde un segreto.
“Non venendo da una scuola di cinema – dichiara Fiorello – il mio approccio alla recitazione è sempre stato istintivo: mi sono basato sulla vita, su persone che conoscevo, però stavolta, per Ennio, mi sono affidato a una coach, approcciando in maniera più strutturale e metodica. E’ importante per un attore sapere di essere nel ruolo giusto. Oggi si tende troppo a scritturare attori per il loro nome o per il richiamo che hanno sul pubblico. Non giudico il mio personaggio, cerco solo di capire quali siano le sue esperienze precedenti, da quale vita venga. Fa parte sicuramente di un sistema negativo, quindi ho dovuto tirar fuori la parte nera che c’è in ciascuno di noi”. “Non lo considero un film di denuncia – dice Moroni – perché un film di denuncia già si pone nell’ottica del ‘giudizio’ e dunque conosce già le risposte. Noi vogliamo invece sollevare domande, porre interrogativi. Cerchiamo di capire le motivazioni di ogni personaggio. Anche Ennio non è poi un “mostro”. Fa quel che fa perché è convinto che sia la cosa giusta da fare, vorrebbe stare vicino a Kiko ed essergli amico, ma non ci riesce. E Kiko, che è italiano e nelle Filippine non ci è mai stato, ha difficoltà a relazionarsi con sua madre. Nel solo momento in cui lo fa, parla la sua lingua originaria. Ha un rapporto quasi ‘mitico’ con il suo paese d’origine”.
“Ero timoroso – prosegue Moroni – perché non sapevo se Beppe sarebbe stato capace di simulare bene l’attività del muratore. Mi ha stupito. Probabilmente ha in famiglia qualcuno che fa il mestiere perché era perfettamente in grado di impartire ordini con il linguaggio tecnico tipico del mestiere, da come si fa la calce, al livellamento. In pratica ho fatto del documentario, limitandomi a filmare ciò che lui diceva e faceva. Sul personaggio di Kiko ho lavorato cercando di ricordare la mia adolescenza: il tempo in cui tutto avviene nel dramma e in cui lo spazio e il tempo ti sembrano infiniti. A Kiko suo padre ha lasciato dei debiti ma anche una grossa eredità spirituale, la passione per l’astronomia”.
“E lui – commenta il giovane e bravo Manaloto – la usa per illudersi di poter superare le barriere del tempo e dello spazio, tornando al momento in cui suo padre era vivo e la famiglia era unita. Oggi è assurdo, surreale, ma un domani potrebbe essere possibile”. “Mi sono documentato sui giovani d’oggi – continua il regista – con delle interviste in una scuola, a loro e ai loro professori. Ciò che mi ha stupito è che questa generazione ritiene il passaggio della scuola come decisivo per il proprio futuro. Quindi i giovani hanno fiducia nell’insegnamento, quello che li incastra sono i protocolli, le valutazioni. Kiko è una bella testa, ma va male a scuola perché Ennio lo costringe a lavorare. E si trova bene con Ettore perché lui non fa il maestro, non gli importa che voti prenda, cerca di capire i suoi bisogni profondi, di insegnargli un po’ di filosofia che, tra l’altro, è una delle materie più difficili da trattare al cinema. Abbiamo cercato di dare a questo tema un aspetto ‘carnale’ e narrativamente rilevante”.
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