BARI – Fabrizio Bentivoglio al Bif&st è Casanova (nel film di Gabriele Salvatores, Il ritorno di Casanova: leggi il nostro articolo), ma è anche e soprattutto se stesso, così nella masterclass al Teatro Petruzzelli, che – con il filo rosso del cinema – è proceduta tra musica e (forza del) silenzio.
Bentivoglio – al Bif&st 2023 anche Premio Fellini per l’Eccellenza – sale sul palco del teatro barese dopo la proiezione del suo unico film da regista, Lascia perdere, Johnny!: “Una soluzione di paternità: lo covi, lo curi, per farlo diventare la cosa più importante della tua vita. È del 2006. Poi, nel 2007, è nato il mio primo figlio, ancora nel 2009, e così nel 2012: non sono più riuscito a considerare qualcosa d’altro più importante dei miei figli, e quindi non ho più fatto una regia. Quando si smarcheranno da quell’età in cui hanno più bisogno della presenza assidua dei genitori, magari… ma per me un film che dopo 16 anni ancora… si guarda non è invecchiato, è un orgoglio”.
Bentivoglio racconta alla platea l’epifania di Johnny, che sì ha a che fare col cinema, ma molto con la musica: “Dal ‘92 ho frequentato la Piccola Orchestra Avion Travel, con cui ho fatto concerti, operine, condiviso stanze d’albergo e camerini, e lì c’erano dei racconti: vorrei dedicare questa masterclass a Fausto Mesolella, chitarrista sublime che raccontava la sua vita a 360° e da lì sono partito; quando lui, che era molto diffidente, ha cominciato a capire che i suoi racconti stessero diventando qualcosa d’altro ha aperto un cassetto e mi ha dato un cd con tutte le sue musiche mai diventate canzoni, che sono quelle che sentite nel film: ho avuto il privilegio di scrivere la sceneggiatura ascoltando la colonna sonora del film, un ricordo molto famigliare”.
Bentivoglio ha confidenza con la musica, non solo perché oggetto di questa sua creatura cinematografica: “Ho sempre strimpellato la chitarra, scritto canzonette: insomma, è venuto prima De André di Shakespeare. Proprio forse perché era ‘segreta’, la musica per me è rimasta sempre una brace ardente e viva: io ho una formazione teatrale, per cui parto a tavolino dalla parola scritta, e solo dopo muovo il corpo, questo per dire che io faccio il cinema in modo teatrale. E andare dietro alla macchina da presa nasceva dalla possibilità di spostare il teatro e la musica al cinema: se mai tornassi dietro la mdp, il naturale proseguimento sarebbe un film musicale, non un musical. Comunque, De André è stato un compagno di viaggio: di lui studi i testi, li analizzi, li canti, e sembra che ti parli. Ho un suo cd de Le nuvole autografato, che tengo incorniciato”.
Ma Bentivoglio, si sa, è soprattutto attore, prima che regista, prima che musicista e infatti: “Un attore che va dietro la mdp sa tutto, mentre un regista puro va alla scoperta e l’attore potrebbe essergli anche un problema: alcuni sono diffidenti, noi attori possiamo essere considerati rompi scatole, e invece ci sono attori che portano un valore aggiunto; le sceneggiature sono parole su carta che l’attore deve far diventare vita, non è scontato”.
Tornare a fare l’attore, dopo la regia, per Bentivoglio ha significato essere “più cosciente: più… collaborativo è la parola giusta”. E nel mestiere di attore è Casanova per Salvatores, di cui racconta: “Quando ho letto per la prima volta la sceneggiatura, mi sono accorto che nella scena finale in cui sono l’attore… che interpreta Casanova, quel personaggio non aveva nome: chiamo Gabriele e gli dico che si chiama Federico Lolli, il mio personaggio in Turné; è un sottotesto, sul set lo sapevamo solo Gabriele e io, cioè noi facendo questo film raccontavamo tutta la nostra vita”.
Comunque, Bentivoglio non aveva deciso di fare l’attore ma “è avvenuto. Studiavo Medicina al primo anno, studiavo anatomia con la radio accesa: intervistavano un ex allievo del Piccolo Teatro che raccontava di una scuola che io non sapevo nemmeno esistesse. Io avrei dovuto fare il dentista ma ho spiegato a mia madre la cosa, lei ha capito e mi ha addirittura aiutato a preparare un monologhetto: non ho nemmeno finito la Scuola, perché dopo due anni lavoravo. Clarke Gable diceva che per affermare questa professione servano solo 30 anni: 10 per capire di che pasta sei fatto e 20 per confermarlo. È vero”.
Fabrizio Bentivoglio – nell’ordine – sul palco è stato anche sollecitato sul presente come sinonimo di vita famigliare, tempo che scorre veloce e lo stato di salute del cinema. La prima “è una cosa che si trova giorno per giorno, impegnandosi, ma non c’è una regola: questo nostro strano mestiere si può fare se lo si fa diventare la vita: pretendere di avere anche la vita vera è arduo, ma se si vuole…” e in particolare rispetto ai figli, alla scuola, agli insegnanti, racconta: “ci ho anche litigato, perché molti non hanno capito che nei nostri figli gli ultimi tre anni hanno lasciato un segno che ancora non abbiamo compreso e quindi pretendere il rendimento di prima è disumano, gli allievi sono in un momento di défaillance. Ci sono quelli che copiano perché furbetti, quelli perché in affanno, ci sono quelli che cadono in depressione, hanno crisi di panico o episodi di autolesionismo. Un paio di mesi fa uno studente del ‘Virgilio’ di Roma nella notte s’è buttato dalla finestra: un professore ha interrogato il giorno dei funerali. A questi ragazzi s’è rotta la vita, per cui non si riprende istantaneamente a studiare”.
Rispetto al tempo che corre sempre più svelto, Bentivoglio si dice: “…praticamente un disadattato, non mi appartengono queste accelerazioni, ma ci devo fare i conti: ho il telefono per grazia ricevuta, mi spingo alle email. L’ossessione di comunicare ogni battito di ciglio sui social non la capisco, mi sembra una mancanza di pudore, che invece secondo me è una qualità dell’uomo. In un’intervista, Claudio Abbado, ha detto: ‘io non suono le note scritte ma gli spazi tra una nota e l’altra, perché lì c’è Dio’. Ecco, nei silenzi c’è Dio, non quando parliamo, ma se tutto va in fretta non c’è mai silenzio e il silenzio è nutrimento per le nostre anime”.
E il cinema? Perché le persone non frequentano la sala? Per Fabrizio Bentivoglio: “La gente adesso – dopo la pandemia – vuole la persona fisica, per questo il teatro ha la meglio sul cinema, la gente non vuole uno schermo che medi: l’unico modo per proteggere quello che facciamo al cinema è di puntare al superlativo, fare cose straordinariamente belle, ogni cosa brutta fatta danneggia tutti. L’unica possibilità che abbiamo è puntare in alto; infatti, quando leggo sul giornale ‘bravo come al solito, Bentivoglio” m’incazzo, perché io non sono ‘il solito’ ma sempre un altro e provo a migliorarmi, per cui, se mi scrivi così, mi offendi”.
Tra i film italiani premiati il regista Ivan Gergolet e gli interpreti Paola Sini e Orlando Angius, per quelli internazionali la regista Enen Yo e gli interpreti Ane Dahl Torp e Thröstur Leó Gunnarson
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