Benicio Del Toro: “Un film sui cooperanti per mettere in luce il loro gran lavoro”

L'attore parla A Perfect Day, primo film in inglese di Fernando Léon de Aranoa, celebrato autore de I lunedì al sole. In sala dal 10 dicembre con Teodora


CANNES – “Ammiro molto il lavoro delle Organizzazioni Non Governative e quando ho ricevuto questa sceneggiatura ho avuto subito una motivazione forte: portare alla luce il lavoro di queste persone, che affrontano ogni giorno la violenza senza avere in cambio praticamente nulla. Meritavano di essere valorizzati”. Benicio Del Toro viene accolto come una rockstar, nella sala più calda della Croisette, quando raggiunge sul palco il regista di A Perfect Day, primo film in lingua inglese delllo spagnolo Fernando Léon de Aranoa, celebrato autore de I lunedì al sole. Presentato alla Quinzaine des Réalisateurs, in uscita il 10 dicembre con Teodora, il film schiera un ricco cast che include anche Tim Robbins, Olga Kurylenko e Mélanie Thierry nei panni di una squadra di operatori umanitari impegnata in una missione in una zona di guerra nei Balcani.

Si muovono su un terreno (letteralmente) minato, tra ruderi di case e di famiglie, dove le ferite sono fisiche e simboliche e i tentativi di portare soccorso devono scontrarsi spesso con ostacoli pratici paradossali, oltre che con l’insensatezza della guerra. La composita truppa di A Perfect Day affronta il suo lavoro con l’arma dell’umorismo, strumento indispensabile per esorcizzare la devastazione e la disumanizzazione portate dai conflitti. Del Toro è Mambrù, leader del gruppo che ha avuto delle relazioni con alcune sue colleghe cooperanti, inclusa Katya (Kurylenko), ribattezzata ironicamente “modella senza frontiere”. Poi ci sono il suo braccio destro B (Robbins), adorabile sbruffone che non sa quello che vuole, e Sophie (Thierry), l’ultima arrivata che ha la smania di rendersi utile ma non sopporta la crudezza degli scenari che è costretta ad attraversare. Il loro “perfect day” consiste nell’estrarre un cadavere dal pozzo prima che renda inservibile l’acqua per tutto il vicinato, ma dietro l’angolo ci sono difficoltà di ogni tipo. “Queste persone conducono quotidianamente una guerra dentro la guerra – ha scritto de Aranoa – La guerra tra la volontà e lo scoraggiamento, tra il buon senso e l’assurdo. Nella loro guerra hanno la speranza e l’umorismo come baluardo contro la tragedia. Il genere del film è la vita stessa, come in una matrioska, c’è un dramma dentro la commedia, dentro un road movie, dentro un film di guerra”.

Per raccontare questa storia, de Aranoa ha tratto ispirazione dalla sua esperienza di documentarista in zone di guerra al fianco dei cooperanti, oltre che dal romanzo Dejarse Llover di Paula Farias, e ha girato in inglese perché “è la lingua che si usa normalmente in queste situazioni: gli operatori umanitari, i giornalisti, i caschi blu parlano tutti lingue diverse e comunicano in inglese tra loro e con le popolazioni locali. Queste squadre di cooperanti sono come una piccola torre di Babele, e questo spesso aggiunge caos al caos”. Dal vivace pubblico della Quinzaine arriva poi una domanda sulla ricorrenza di discorsi sul sesso fatti dai cooperanti: “Ho voluto ritrarre queste persone nella loro routine, non nei momenti epici – ha risposto ridendo de Aranoa – e questo include anche un umorismo molto basato sul sesso, che usano per tenere a distanza gli orrori in cui sono immersi. C’è una battuta che gira nell’ambiente, ovvero che MSF voglia dire ‘mesi senza fornicare’. Detto questo, prima di tutto per noi veniva il rispetto per le persone che vivono in situazioni di guerra: per questo abbiamo dedicato ai loro volti gli ultimi minuti del film”. Minuti descritti da una canzone di Lou Reed, ma non quella del titolo, “troppo malinconica – dice il regista – ci serviva un’energia diversa”.

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16 Maggio 2015

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