Ci sono miti che diventano tali proprio perché normali. Basti dire che Gregory Peck (Il buio oltre la siepe) o Gary Cooper (Mezzogiorno di fuoco) sono diventati mitici proprio svestendo i panni dell’eroe per diventarlo grazie alla “normalità” dei personaggi. Ben Kingsley il 31 dicembre, compie 80 anni è uno di questi eroi del quotidiano, raro caso di divo dell’understatement al tempo dell’eccezionalità supereroica. Ci sono storie che cominciano per caso e ti domandi cosa sarebbe accaduto se… Nel caso di Krishna Pandit Bhanji, meglio noto come Ben Kingsley, cosa sarebbe stata la sua carriera se, praticamente all’esordio nel grande cinema nel 1982, non avesse convinto Sir Richard Attenborough strappando il ruolo del Mahatma Gandhi dalle mani di concorrenti molto più quotati come Sir Alec Guinness (si sarebbe rifatto con il professor Godbole per David Lean e poi nei panni del Gandhi del futuro, Obiwan Kenobi), Dustin Hoffman, John Hurt. Nel 1982 Kingsley, nato a Snainton nello Yorkshire il 31 dicembre 1943, era ancora un “signor nessuno”, benché avesse avuto gloria dal teatro e frequentasse gli studi televisivi da una decina d’anni.
La sua è una storia di riscatto, emblematica dell’Inghilterra post-coloniale e di un magistero shakespeariano (ha detto una volta “Essere veramente un attore significa essersi cimentato con tutti i ruoli di Shakespeare”) che prima o poi paga sempre da quelle parti.
Il padre viene dall’India (di famiglia ismailita proveniente dalla regione del Khoia) ma è nato all’inizio del ‘900 in Kenya e ha sposato l’attrice di sangue ebreo-tedesco Anna Lyna Mary Goodman quando è approdato in Gran Bretagna. Forse per questo molto spesso in carriera il giovane Ben si è cucito addosso i panni dell’ebreo (era il banchiere Itzhak Stern in Schindler’s List) benché abbia sempre smentito di sentire il richiamo della razza. Del suo essere indiano invece va molto fiero anche se, proprio su consiglio del padre, cambiò il nome per fare l’attore ispirandosi al soprannome Benji e al nonno, il commerciante di tessuti King Cloves. Studia alla Grammar School di Manchester e poi al Pendleton College dove scopre la sua vocazione vedendo Ian Holm nei panni di “Riccardo III”. Esordisce in palcoscenico nel 1967 in un teatro del West End, un produttore musicale gli offre un contratto da pop star, ma Kingsley rifiuta per arruolarsi nella Royal Shakespeare Company dove rimarrà 15 anni scalando tutti gradini del successo grazie alla devozione per il Bardo. Alla metà degli anni ’70 è già un collaudato prim’attore, passando dal “Volpone” di Ben Jonson al Sogno di una notte di mezza estate con Peter Brook come maestro. Intanto si guadagna da vivere con le soap operas televisive e i teleplay, incrociando registi di talento come Mike Leigh e Ken Loach.
Ma il colpo di fortuna è proprio Gandhi: per convincere il regista (che lo aveva intravisto nell’affollatissimo cast di “Quell’ultimo ponte” cinque anni prima) e i produttori, perde 10 chili, impara a memoria fiumi di discorsi del profeta della non violenza, ne imita perfettamente movenze e accento da adulto, mentre inventa in modo mimetico il Gandhi giovane. “In verità – racconterà – per questa parte del personaggio ho lavorato ispirandomi ad Antonio Gramsci che avevo portato in scena poco prima in “Occupations”; sentivo una forte somiglianza tra i due personaggi e ho usato quell’ispirazione”. Con 8 premi Oscar tra cui quello del miglior attore, un Golden Globe e un Bafta inglese, il film è uno straordinario trampolino di lancio e, non per caso, Ben tre anni dopo vince anche un Grammy per il disco parlato con i “suoi” discorsi di Gandhi. Precocemente stempiato (la calvizie del Mahatma diventerà il suo marchio di fabbrica), il fisico minuto e lo sguardo penetrante, spesso astuto e ambiguo) diviene subito un personaggio. Hollywood lo chiama e Ben risponde: nel 1983 è di nuovo candidato all’Oscar per Tradiment”, firma un’interpretazione magistrale ne L’isola di Pascali, appare in Maurice di James Ivory, fa da spalla a Michael Caine come dottor Watson nell’esilarante pastiche su Sherlock Holmes “Senza indizio”; sbarca in Italia per mimetizzarsi nella figura del capo della rivoluzione russa Il treno di Lenin di Damiano Damiani e l’esperienza gli piace tanto da restare per Una vita scellerata di Giacomo Battiato e L’amore necessario di Fabio Carpi all’alba degli anni ’90.
A quel decennio risalgono altre interpretazioni celebri come In cerca di Bobby Fisher, Dave di Ivan Reitman, Bugsy di Warren Beatty (seconda nomination all’Oscar per un totale di tre) oltre a Schindler’s List. Ma è proprio a metà decennio, con Specie mortale di Roger Donaldson, che l’attore scopre l’altra faccia del successo: stroncato dalla critica, nominato per i Razzie Award (gli è capitato quattro volte di figurare nella lista dei peggiori attori dell’anno), il pastiche di fantascienza guadagna oltre 100 milioni di dollari e convince Kingsley che col cinema si può vivere bene oltre che cercare gloria. “All’inizio – racconta – lasciare il teatro è stato come uscire dal ventre della mamma. Lì si lavora in gruppo, il capocomico decide per te, è una zona di confort che può durare mesi. Invece col cinema mi sono trovato da solo a scegliere i copioni, sullo schermo ero solo a rispondere al pubblico. Ci ho messo un po’, poi ho capito che dovevo giocare su più tavoli”. Col nuovo secolo Ben Kingsley ha messo in pratica questa teoria: buone storie per il plauso della critica (altre nominations per Sexy Beast di Don Logan e La casa di sabbia e nebbia di Vadim Perelman) e buoni incassi per il portafoglio (Slevin o Iron Man 3), grandi registi come Martin Scorsese (Shutter Island) e Roman Polanski (Oliver Twist), ma anche puri divertimenti come nei panni del Faraone di Notte al museo o l’esilarante Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli della Marvel.
Chi è quindi l’arzillo ottantenne che vedremo ancora in Jules di Mark Turtletaub? “Esiste una costante nel professionismo di Kingsley – hanno detto di lui-, quale che sia la sua prestazione: lo sforzo compiuto per aderire ai chiaroscuri di personaggi enigmatici con un’intensità psicologica, una vibrazione segreta, che ne fanno un ritrattista di rara potenza”. Buon compleanno Ben!
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