L’arte contemporanea incontra la settima arte, in un cuore assoluto del cinema, il Teatro 5 di Cinecittà: la celebre artista genovese di fama internazionale, Vanessa Beecroft, protagonista dell’arte contemporanea mondiale, qui racconta la scelta di aver accettato l’invito della presidente Chiara Sbarigia, mettendo in scena VB93 Performance, un atto site-specific con protagonisti il corpo femminile e le storie delle donne, in particolare quelle della Capitale, Roma.
VB93 e il suo processo di ideazione e realizzazione – in scena il 1ottobre 2022, in un flusso performativo fluido e continuo, dalle 18 alle 21 – è l’essenza prima di una successiva e più articolata opera documentaria, diretta e prodotta alla stessa Beecroft, con alcune immagini acquisite dall’Archivio Luce, un’opera filmica che – per prima – entrerà a far parte del MIAC, il Museo del Cinema e dell’Audiovisivo di Cinecittà.
Vanessa, per un’artista che mette in scena dal vivo, il luogo non è solo logistica: il Teatro5 è carico di simbologia, senso e storia dell’arte, per tutti espira Fellini. Inoltre, il luogo qui è duplice, è il Teatro ma è dapprima Cinecittà: cosa significa poter mettere in atto la sua performance nella Fabbrica dei Sogni?
Il luogo, il ‘campo di battaglia’, in cui di solito opero è quello dell’arte: ho accettato di venire a Cinecittà, e ho scelto il Teatro 5, perché è un luogo concettualmente protetto, che non apparteneva ma al mio mondo, ma con un perimetro concettuale. E, quando sono entrata dentro al Teatro, ho deciso di spingere oltre la performance e includere elementi che non esistevano prima, come la colonna sonora o la scansione in atti, come fosse quella di una pellicola: quindi, c’è un elemento di innovazione nato in questi giorni, non previsto.
Il cast delle sue 300 donne è frutto di un casting che va dalla borgata all’aristocrazia: ha scelto dei corpi/volti che raccontassero delle storie, di cui il corpo si faceva riflesso. Come può un corpo raccontare una storia e come ha scelto questi corpi?
Non sono corpi, sono individui. Di solito, il mio lavoro ha un rapporto con la città in cui si sviluppa: per Roma, appositamente ho scelto donne ‘ai margini’ della società, o perché escluse quando della periferie o escluse perché appartenenti a un’aristocrazia che non ha più valore; volevo che le donne di Roma fossero queste, non donne solo contemporanee. Non è detto questo sia avvenuto, ma era la mia aspirazione e volevo una massa di queste donne.
Una donna in particolare, Jeanne Moreau de La notte di Antonioni, è il suo simulacro di riferimento, la sua icona ispiratrice o cos’altro? E perché ha cercato un punto di contatto proprio con il cinema e quindi qual è il valore aggiunto del cinema per VB93?
Jeanne Moreau mi ricorda le donne della mia famiglia. Mia madre, che comunque sembrava Claudia Cardinale, mia nonna, mia zia: erano donne progressiste – mia madre era femminista, vegetariana -, ma la loro apparenza era sempre composta e classica, perché la costrizione borghese impediva loro di andare oltre, e le donne di Antonioni, secondo me, non avevano la parola: potenzialmente sono emancipate, hanno consapevolezza delle loro potenzialità, però non hanno la parola, e credo sia ancora così: non sono quindi sono affascinata dall’aspetto ma dal concetto della donna che non ha un verbo. L’idea di Jeanne Moreau era anche quella del suo abito, che poi ‘esplodesse’; è costruito con una telina, materiale di composizione dei costumi di Cristina Bomba: la prima parte è un abito intero, poi man mano diventa bianco, fino a trasparente, per poi sparire. Non so se siamo riusciti a restituire questa costruzione, ma l’idea era quella della decostruzione di quest’uniforme che ti tocca indossare.
Tra le 300 donne della performance ha incontrato una ‘Jeanne Moreau’?
Non guardo le donne e basta, è sempre una considerazione personale che mi colpisce e comunque sì, ne ho incontrate diverse.
La ripresa video della sua Performance fa parte di un più ampio progetto documentario ed è la prima acquisizione del Miac, che vive nella più ampia storia di un luogo che ha presso di sé un archivio storico, quello Luce: che valore dà al materiale d’archivio e con quale spirito ha preparato VB93 sapendo che sarebbe diventato anche prezioso archivio della contemporaneità?
Mi piace costruire quella che io chiamo ‘la piramide’: sono iper produttiva, lavoro tantissimo, metto tutto via, e non necessariamente il mio archivio è tutto visibile – ho circa 90 performance documentate che non sono quasi state viste -, ma quando c’è stata l’idea di realizzare la Performance al Teatro5 ho pensato potesse essere la prima volta che io documentavo quello che non ho mai voluto fosse documentato, non ho mai voluto si sapesse nessun dettaglio sull’identità delle donne, sul quando, sul perché, volevo solo che il pubblico arrivasse e vedesse questo gruppo come fosse quasi un esercito che arrivasse dal nulla, ma poi ho invece deciso di aprirmi e lasciare che questo fosse tutto visibile, per la prima volta in questo contesto. E quindi il documentario rende visibile quello che io ho sempre tenuto nascosto.
Il doc avrà una continuità anche di nome con la performance, VB93?
Non si sa ma la musica ispiratrice di questo lavoro è ‘Sometimes, I feel like a motherless child’ (Beecroft la intona, cantando, ndr), questo gospel era nel Vangelo secondo Matteo di Pasolini, di questo figlio che non ha una madre, questo concetto mi affascina.
Stando sulla musica, la Performance prevede una colonna sonora dal vivo.
C’è una traccia musicale che mio figlio Dean, insieme a Joaquin Freccia, sta realizzando per tutto il progetto: per motivi tecnici non è potuto venire a Roma, e casualmente, il giorno in cui me l’ha comunicato, ho incontrato Gustave Rudman, un compositore, con cui abbiamo improvvisato un soundtrack in questi giorni, nato anche dalla sofferenza che la preparazione della performance stava generando. Sono molto commossa perché il giorno uno abbiamo deciso la canzone, il giorno due è stata registrata in Bulgaria, il giorno tre – ovvero ieri, venerdì 30 settembre – fino alle prime ore del mattino l’abbiamo provata, quindi è qualcosa di appena nato. Seppure nel documentario io voglia continuare a lavorare con Dean, una mente molto dialettica ed è la persona che più mi capisce.
La presidente Chiara Sbarigia, promotrice dell’invito a Vanessa Beecroft e del progetto, spiega che l’espressione artistica di Beecroft si avvicini al concetto di tableaux vivant di Caravaggio, quindi accosta i concetti di classico, di eterno anzi, e di contemporaneo, tenendo alta l’asticella sul tema del passato, imprescindibile volano per scrivere il futuro, concetti che stanno nel nucleo essenziale di Cinecittà.
Presidente, perché VB93 è il progetto ideale per incarnare questa missione?
Vanessa è un’artista contemporanea, molto innovativa, proiettata verso lo stra-futuro ma la sua opera ha un cuore antico: Caravaggio aveva, nella messa in scena, il nucleo della sua opera, metteva molto tempo nella preparazione e Beecroft fa questo, lo fa in modo totalmente nuovo, lei stessa oggi ci sta raccontando che ha cambiato i suoi schemi e credo questo sia un momento e un’occasione davvero eccezionale per la storia dell’arte e anche per la storia di Cinecittà, perché io ho pensato a lei come l’apice di tre azioni: la prima, la mostra La memoria delle stazioni, per cui abbiamo acquisito le fotografie della giovane fotografa Anna Di Prospero, poi a febbraio faremo un convegno sulla leadership culturale femminile, Un altro genere di leadership, e VB93 è il momento più alto dell’idea di far diventare Cinecittà una città delle donne, perché le donne sono soggetto dell’azione in tutte e tre le iniziative e Vanessa è quella che s’è interrogata di più proprio sul corpus, sul ruolo sociale e sul ruolo politico anche dell’uso del corpo femminile. Vanessa con questa performance fa qualcosa di molto forte, duro, con le sue donne immobili, ferme, in piedi per molto tempo.
Lei ha inoltre parlato del concetto di ‘verticale femminile’, una geometria che rimanda alla perpendicolarità perfetta, all’equilibrio e all’autorevolezza della figura della donna. Dal suo punto di vista di essere umano nato donna, di donna che lavora a contatto con una disciplina artistica e libera (il cinema), e di donna che ricopre un ruolo apicale, quali sono gli strumenti che permettono all’universo femminile di poter perpetrare la verticalità?
Per la mia esperienza ci vuole lavoro, curiosità, apertura mentale, forza, e il non farsi schiacciare dai consessi a maggioranza maschile: bisogna un po’ difendersi e credere nella propria forza. Ho notato che spesso le donne sono perfezioniste, un perfezionismo che a volte ti fa sentire insicura sull’essere in grado di fare una cosa, mentre il soggetto maschile è abituato a esporsi molto di più. Quindi, io suggerisco il fare squadra tra donne: credo che le donne, se gareggiano alla pari, solo con il merito, anche senza quote rosa, sono fortissime. Stiamo dritte.
Dunque, il Teatro 5 di Cinecittà, il più amato da Federico Fellini, accoglie la messa in opera di V393 in uno spazio ideale, astratto e metafisico, quello della produzione dei film. La performance non è mai stata filmata prima di questo debutto, viene quindi documentata in tutti i suoi aspetti proprio in forma di film, in particolare nel rapporto con i soggetti protagonisti della performance: lo scopo di Beecroft è narrare attraverso l’esperienza di questo evento i temi della psicologia femminile, della bellezza, della violenza, del rapporto con il corpo.
L’approfondimento video: guarda qui.
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