Un truffatore dalla parlantina sciolta, un carabiniere ligio al dovere e una sartina ambiziosa a spasso per l’Italia dell’8 settembre ’43 in una commedia che si fa amara lungo la strada e ci ricorda da dove veniamo. Baciami piccina di Roberto Cimpanelli, uno dei film Medusa che non hanno trovato il giusto spazio a Venezia 63 provocando l’assenza della major (ma Giampaolo Letta oggi preferisce non tornare sulla vicenda), esce in 150 sale il prossimo 29 settembre. Prodotto dalla Rodeo Drive di Marco Poccioni e Marco Valsania è costato circa 3 mln €. È scritto da Furio e Giacomo Scarpelli e nasce da un’idea di Sergio Citti, alla cui memoria infatti è dedicato. Cimpanelli, già autore di un film da regista che vinse il Nastro d’argento (Un inverno freddo freddo) ma soprattutto distributore di rango, racconta: “Sergio, che era un carissimo amico, quando lo andavo a trovare a Fiumicino mi vendeva sempre un paio di idee per 500mila lire. Una volta mi disse: immagina una guardia di finanza che deve portare un contrabbandiere a Zurigo e sull’aereo s’intrufola la sua fidanzata… Quell’intreccio, che mi pareva bellissimo, io l’ho spostato in un periodo storico che mi interessa da sempre e che descrive un’Italia invasa dai tedeschi e spaccata in due, tra repubblichini e partigiani. Sono ferite che non si sono ancora rimarginate, perché la DC ci ha messo sopra un cerotto per decenni, ma la frattura è ancora lì e l’errore dei cosiddetti ragazzi di Salò non è stato purtroppo ancora riconosciuto”.
Senza più un re a cui obbedire bisogna dare ascolto alla propria coscienza: e così fa il carabiniere Neri Marcorè, che deve scortare dall’Umbria a Venezia un imbroglione (Vincenzo Salemme) che a teatro faceva il suggeritore e conosce a memoria tutto il repertorio. Insieme ai due, ammanettati, viaggia l’eterna fidanzata un po’ petulante ma romantica (Elena Russo) mentre gli incontri si moltiplicano: dall’industrialotto Marco Messeri al mafioso Luigi Maria Burruano alla professoressa che arrotonda facendo la vita Mariella Valentini… “E’ un paese allo sbando – dice Vincenzo Salemme, star del teatro brillante che presto vedremo nel film di Natale con Massimo Boldi – dove l’egoismo prevale, perché l’essere umano nasce egoista e solo dopo sceglie se restare tale o diventare generoso. Per questo lo considero più un film sull’amicizia, il coraggio e la lealtà che un film storico”.
Marcorè, che con la sua faccia ingenua e antica è l’attore preferito di Pupi Avati, si è un po’ ispirato al neorealismo rosa, dove il maresciallo Vittorio De Sica faceva onore all’Arma, mentre Elena Russo ha trovato, a detta del press agent Enrico Lucherini, accenti che ricordano la prima Lollobrigida, mentre lei durante le riprese ha pensato soprattutto alla Loren diretta da Ettore Scola. E se la celebre canzone di Rabagliati che dà il titolo al film – “un motivetto che aveva accompagnato gli anni del fascismo trionfante” – arriva a sorpresa solo in sottofinale, in uno dei momenti più drammatici e forti della vicenda, Tosca ha regalato a questo anomalo triangolo un’intensa canzone d’amore romanesca. “L’avevo sentita in un concerto di Nicola Piovani – racconta Cimpanelli – e ho deciso di chiederle di cantarla nella scena del ballo campestre, perché crea un’atmosfera incredibile”.
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