Non basta una lettera di scuse del sottosegretario del Ministero dello Sviluppo economico (MiSE) Massimo Vari per l’assenza dell’istituzione a placare il disappunto, espresso più volte, dei rappresentanti di Anica e 100autori che hanno oggi promosso, nell’ambito del Festival di Roma, il convegno “Cinema e televisione. Politica economica e politica editoriale” – coordinato dal giornalista del ‘Corriere della Sera’ Paolo Conti – e che hanno annunciato presto una mobilitazione insieme ai sindacati.
All’ordine del giorno c’è il decreto interministeriale, atteso da ben 4 anni, che disciplina i criteri per la qualificazione delle opere cinematografiche di “espressione originale italiana” e le relative quote di programmazione e di investimento a carico delle emittenti televisive, all’interno delle più generali quote a favore delle “produzioni audiovisive europee”. Il compito di emanare tale decreto – come recita l’articolo 44 del Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici – spetta al MiSE e al MiBAC.
Presente è invece l’altra istituzione coinvolta, nella persona di Nicola Borrelli, DG per il Cinema-MiBAC, il quale informa che una bozza del decreto, a cui si è lavorato da luglio, è stata inviata tre settimane fa al MiSE e prevede poi un passaggio con i vari interlocutori del settore. “Rispetto al passato non sono previsti stravolgimenti; le quote, più volte limate, partono dalla situazione precedente, con l’obiettivo di definire un quadro più certo rispetto al passato. Comunque i principi di derivazione comunitaria cercano di temperare i meccanismi di mercato e non di penalizzare”.
Riccardo Tozzi, presidente Anica, benché convinto dell’operato generale del Governo Monti, parla in questo caso di colpevole ritardo e di inadeguatezza, anche sul fronte della lotta alla pirateria, dopo l’impegno preso mesi fa dal ministro Corrado Passera. Tozzi sottolinea poi che il tanto atteso decreto, fondamentale per un’industria nazionale che si difende e compete con la supremazia americana, purtroppo non si occupa della rete che va al più presto regolamentata. “Come è già accaduto con la tv libera, ogni nuovo medium per affermarsi ha bisogno all’inizio del cinema, ma non lo paga e il cinema viene così saccheggiato”. Tozzi rimprovera infine alla Rai di avere disatteso la programmazione del prodotto nazionale e rivendica la necessità di costituire delle redazioni cinema nei canali pubblici.
Angelo Barbagallo, presidente Produttori e segretario generale Anica, parla di “Governo inadempiente nei confronti del Cinema: vogliamo regole certe. L’emanazione di tale decreto è infatti prevista dalla Legge Romani, che regola il sistema televisivo e radiofonico, approvata nel 2010. Sono più di quattro anni che attendiamo l’approvazione di tale normativa, in grado di dare certezze e continuità agli investimenti delle tv nel settore”.
D’accordo con Barbagallo è Andrea Purgatori, presidente 100autori, che ritiene sia arrivato il momento di una protesta del mondo del cinema sotto le finestre del MiSE, “a questo punto aveva ragione chi mi aveva parlato di quanto fossero forti in Parlamento le lobby trasversali dei broadcaster”.
Nella documentata relazione introduttiva al convegno, Nicola Lusuardi, coordinatore nazionale 100autori, sottolinea come “la storia del mercato cinematografico e di quello televisivo sia venuta intrecciandosi sempre più profondamente nel corso degli ultimi decenni: prima con la rottura del monopolio e la nascita della tv commerciale, che ha fatto del film il suo prodotto di punta; successivamente con la tv a pagamento che ha conquistato la sua quota di mercato grazie a contenuti premium, basando l’offerta e la comunicazione in modo assolutamente preponderante su calcio e cinema; oggi infine sulle piattaforme online, destinate a estendere la propria quota di mercato sia nel segmento pay che nel segmento free, dato che è nuovamente il film a rappresentare la tipologia di contenuto più attrattiva”.
Cinema e televisione hanno quindi bisogno, sempre secondo Lusuardi, “di una politica integrata e coordinata, a partire da provvedimenti capaci di: favorire la produzione di nuovi contenuti originali, di qualità, e raggiungere le più diverse fasce di pubblico; garantire l’accesso a questi contenuti attraverso il medium ancora più avvantaggiato nell’offerta di opere audiovisive, cioè la televisione. Il principale strumento di questa politica, è l’implementazione delle quote di programmazione e investimento”.
Il fronte delle televisioni è compatto nel rivendicare il ruolo svolto a sostegno della produzione italiana. Paolo Del Brocco, AD RAI Cinema, ricorda le cifre: dai 35 milioni di qualche anno fa si è passati ai 50 milioni di investimenti in opere prime e seconde di vario genere. Quanto al decreto questo non dovrebbe cambiare di molto il quadro esistente, “meglio non prevedere sotto quote che potrebbero ingessare le aziende”, e utili sarebbero un prelievo di scopo e il recupero di 600 milioni di canone evaso.
Giampaolo Letta, vicepresidente e AD Medusa Film, parla di oltre 100 milioni annui investiti dal gruppo Mediaset e di 70 prime serate di cinema programmate su Canale 5. Ed elenca i temi vitali per il settore: stabilizzazione del Fus, consolidamento degli incentivi fiscali, pagamento da parte dello Stato dei contributi percentuale sugli incassi e dei crediti Iva degli esercenti, lotta alla pirateria.
Chi manifesta una certa resistenza al decreto in discussione, pur impegnandosi a rispettare le quote europee, è Stefano Ciullo, direttore Affari Regolamentari e Istituzionali Sky Italia: “Non vanno forzati i modelli di business di un operatore che agisce nel mercato senza aiuti e sovvenzioni pubblici e che deve essere libero di elaborare le sue strategie industriali”.
Presenti al convegno anche Giovanni Stella, consigliere delegato Telecom Italia Media, Silvano Conti, segretario nazionale Slc-Cgil e Laura Aria, segretario generale ad interim Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni che dovrà vigilare sull’attuazione degli obblighi da parte delle reti televisive, e che insiste sul ruolo della tv pubblica nell’educare il gusto pubblico, ridimensionando i modelli e i programmi oggi dominanti in nome degli indici di ascolto.
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