Autista e factotum italiano di Kubrick

In S is for Stanley (tra gli Omaggi della Festa di Roma) Alex Infascelli narra la storia di Emilio D'Alessandro, che per 30 anni è stato dapprima l'autista personale di Stanley Kubrick


Quella sera le strade di Londra erano sommerse da una forte nevicata ed Emilio, un italiano trapiantato da poco nella città, si ritrovò a effettuare come tassista una consegna a un regista importante, Stanley Kubrick. Insolito era l’oggetto da trasportare: un enorme fallo, che il cineasta avrebbe utilizzato per Arancia meccanica. Da quella fatidica sera Emilio D’Alessandro per 30 anni sarà alle dipendenze di Kubrick: dapprima come autista, poi come uomo di fiducia nella gestione della casa e della vita quotidiana dell’artista, ma anche collaboratore dal punto di vista organizzativo di alcuni importanti set. Fino ad essere omaggiato in Eyes Wide Shut con l’insegna di un bar caffè che porta il suo nome, nonché con una comparsata nel ruolo di un edicolante che vende i giornali a Tom Cruise.

Questa storia così particolare è raccontata in S is for Stanley (tra gli Omaggi della Festa di Roma) da Alex Infascelli che ha sentito parlare di Emilio in occasione di un’intervista a Christiane, la moglie di Kubrick. Poi ha letto la sua storia narrata nel libro, da cui è tratto il film, “Stanley Kubrick e me. Trent’anni accanto a lui” di Emilio D’Alessandro con Filippo Ulivieri.
Il primo incontro con Emilio risale a due anni fa, proprio alla Festa di Roma, in occasione di una mostra fotografica di Matthew Modine, protagonista di Full Metal Jacket. Emilio oggi vive a Cassino in una casa di campagna dove ha conservato minuziosamente oltre alle foto e agli oggetti più disparati, i tanti messaggi scritti con i quali Stanley, in 30 anni di vicinanza, talvolta firmandosi solo ‘S’, gli assegnava compiti e incombenze varie.
Già il suo assistente che si occupa: di carichi trasportati in Irlanda dove si stava girando Barry Lyndon; di cani e gatti randagi raccolti da Kubrick nella grande casa con parco di Chiddick; di essere l’interprete in un colloquio telefonico con Fellini che Kubrick chiama per avere preziosi suggerimenti per un set; di fare i sopralluoghi nella fabbrica dismessa utilizzata come location per Full Metal Jacket.

Da questo rapporto stretto con una persona di fiducia, emerge un Kubrick meticoloso, preciso, pignolo (vedi le 12 regole da rispettare dentro casa) ma anche generoso, gentile e premuroso come ricorda lo stesso Emilio.
“La grazia e la dignità con la quale Emilio racconta quegli anni è commovente e al tempo stesso trasmette il grado di vicinanza che i due avevano raggiunto nel tempo. Come regista mi sono limitato ad essere una specie di ‘decanter’ permettendo alla storia di arrivare al massimo della sua purezza e in tutte le possibili sfumature”.
Nel film l’autore ha scelto che Emilio parlasse in inglese perché era la lingua, il canale con il quale comunicava con Kubrick e poi ha voluto mantenere intatto il ricordo di quel rapporto.

“La sensazione che mi ha dato il film non è quella di andare dietro le quinte di un set, ma di entrare dentro casa di un uomo di cui tutti conoscevano la produzione artistica e poco come lavorava, perché le informazioni esistenti sono scarse – spiega ancora Infascelli – Emilio mi ha aperto la porta di casa e mi è sembrato di osservare Stanley alle prese con i film realizzati. Un rapporto fortemente intrecciato con la vita di tutti i giorni perché dirigeva ogni 6/7 anni”.
Che genere di regista è Kubrick è per Infascelli? Kubrick l’alieno, capace di fare film diversi l’uno dall’altro. “Ogni volta vedendo una sua opera la sensazione è di un’esperienza vergine, lui è forse il più grande regista di genere della storia, perché ogni suo lavoro è racchiuso in un genere preciso”.

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17 Ottobre 2015

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