Preferisce restare defilato, Aurelio De Laurentiis, anche se con Abete e Della Valle soci di maggioranza, condivide a pieno titolo l’impresa di Cinecittà World. “Nel Napoli Calcio e nel cinema facciamo tutto da soli, qui dovevamo rispettare anche gli altri soci”, dice sornione il boss Filmauro, incontrando alcuni cronisti, tra cui Cinecittà News, in una saletta tappezzata di locandine dei successi della ditta, dai Manuale d’amore ai vari film di Natale. Accanto a lui il figlio Luigi. “Siamo entrati nel Parco a tema facendo grandi investimenti e dando qualche consiglio. Volevamo che fosse un’operazione di successo e abbiamo grande fiducia in Dante Ferretti“, dice ancora Aurelio. “Dante lo conosco dalla fine degli anni ’60, quando lavorammo insieme a Il terrore con gli occhi storti di Steno”. Poi parte a ricordare di quando in quest’area sorgevano gli studios voluti dallo zio Dino. “Un casolare rosso era l’ufficio di papà Luigi nel ’59. Io passavo le mie estati qui, avevamo l’arca di noè per La Bibbia di John Huston, nel ’66. Ricordo un incendio che Guy Hamilton non riusciva a girare nel film I due nemici con Alberto Sordi e David Niven, venne Blasetti a risolvere i suoi problemi. Spesso i registi di seconda unità erano nomi grossi, appunto come Blasetti, nomi straordinari che si chiamavano a fare quello che gli americani non riuscivano, per esempio una battaglia notturna per Huston”.
Crede che l’allestimento di Cinecittà World riesca a restituire l’amore per il cinema attraverso la formula dell’intrattenimento per il grande pubblico? “Certo, già l’entrata ricorda quella di Cinecittà. Poi c’è l’omaggio a Gangs of New York, a Sergio Leone nel villaggio western. Cinecittà è stata il simbolo di un cinema spettacolare ad alto budget, con film come Il barone di Munchhausen, la serie Roma della Hbo, il film di Scorsese”. E il cinema italiano? “Noi italiani abbiamo sempre fatto commedie che non aveva ampio respiro, quindi il cinema italiano, tranne casi rari come Benigni o Sorrentino, difficilmente riesce ad affermarsi all’estero ed è meno adatto a essere girato in teatro. E poi siamo stati fagocitati da ottusi funzionari Rai che bocciavano i progetti troppo lunghi o impegnativi. Adesso noi ci trasferiamo in America e puntiamo sulle serie tv. Sono film che durano 12 ore e così si possono fare finalmente Io uccido oppure le 8 puntate che Piero Chiara scrisse per me su Casanova”.
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