CANNES – Una torre futuristica, destinata a diventare un hotel di lusso, si staglia sullo sfondo coperta da un velo di nebbia, quasi fosse un miraggio. Sotto, a un livello piu terreno, brulica la vita povera di Dakar, con i ragazzi sfruttati nei cantieri e le ragazze che, magari, cercano l’avvenire in un matrimonio fortunato. La convivenza – nella stessa immagine – tra la spinta verso un futuro pieno di speranze e un presente avido di prospettive e’ un segno forte e ricorrente in Atlantique, arrivato in concorso a Cannes con un primato gia’ conquistato: Mati Diop e’ la prima regista nera a competere per la Palma d’Oro nella storia del Festival.
Trentasettenne attrice e regista franco-senegalese, Diop nel 2009 aveva realizzato un cortometraggio quasi dallo stesso titolo (Atlantiques), da cui e’ partita per sviluppare la sua opera d’esordio. Nel film breve, con la forma del documentario, si concentrava sui ragazzi senegalesi che si imbarcano in un pericoloso viaggio in mare per migrare verso una vita migliore; ora la regista passa al controcampo e osserva chi resta. Come Ada (la debuttante Mame Bineta Sane), diciassettenne innamorata dell’operaio Suleimane (Ibrahima Traore) ma promessa sposa, molto invidiata dalle amiche, di un ragazzo ricco. Il miraggio di Ada, pero’, e’ l’amore autentico per Souleimane, che scompare all’improvviso dopo mesi di lavoro non pagato: insieme a un gruppo di amici operai si e’ imbarcato con destinazione Spagna. Mentre cerca di resistere alle pressioni della famiglia (e non solo) sul recinto in cui dovrebbe restare in quanto donna, Ada vede il suo lutto assumere una dimensione fantastica quando alcuni eventi misteriosi lasciano suggerire il ritorno di Souleimane e alcune donne possedute – figure a meta’ tra zombie e fantasmi – si vendicano del ricco costruttore.
“Ho sentito il bisogno di un ritorno alle origini e sono andata in Senegal, da cui mancavo da 10 anni: in tantissimi partivano per la Spagna attraverso il mare. Ho avuto voglia di condividere la loro storia valorizzando la dimensione unica, personale, mitologica del loro viaggio, perche’ il resoconto mediatico che se ne fa mi mette molto a disagio”, ha detto la regista. Quel mare, attraente e minaccioso allo stesso tempo, e’ uno dei protagonisti di Atlantique: “Volevo che l’oceano apparisse all’inizio come un complice, ma poi diventasse una forza soprannaturale capace di ingoiare la giovinezza. Quelle onde emanano un potere magnetico e subiscono una metamorfosi, la stessa che vive Ada”.
Stretto stretto sui volti e sui corpi dei suoi due eroi romantici – “era molto importante per me che dei neri apparissero, molto grandi, sullo schermo: molte persone ne hanno bisogno”, ha detto Diop – Atlantique colpisce per l’atmosfera mystery in cui progressivamente avvolge lo spettatore: “In Senegal gli spiriti, i Djinn, escono al tramonto: questo mi ha sempre molto impressionato e ispirato”. La regista ha cosi’ consegnato a quest’opera prima l’alchimia di una critica sociale – sul feroce divario economico che caratterizza i nostri tempi – infusa nella favola soprannaturale sull’emancipazione di una donna.
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