VENEZIA. “Cuba non è una democrazia e molte libertà fondamentali non sono rispettate. Sono dalla parte del popolo cubano e i cubani soffrono molto sotto quel regime. Ma è anche un paese che è stato colpito duramente, e per oltre mezzo secolo, dall’embargo guidato dagli Stati Uniti”. Il regista Olivier Assayas, già autore della miniserie Carlos, è partito da questa convinzione politica nel girare il thriller di spionaggio e politica Wasp Network, in concorso nella Selezione ufficiale, e ispirato al libro di Fernando Morais “The Last Soldiers of the Cold War”.
Il film ricostruisce la storia vera di The Cuban Five, gli ufficiali dell’intelligence che furono arrestati a Miami nel settembre 1998, condannati per spionaggio e altre attività illegali, incarcerati fino al 2014 quando vennero liberati dal presidente Obama. “Non ho conosciuto Morais, ma il suo libro è stato costruito grazie a un ottimo lavoro di raccolta di materiali originali e sensibili, provenienti da fonti cubane. Sono sempre stato interessato alle complessità della politica moderna – dice il regista francese – Oggi discutiamo di false notizie e disinformazione ai giorni nostri, è roba che è sempre stata presente in un modo o nell’altro, si chiamava propaganda”.
L’Avana, primi anni ’90, il regime comunista vive un momento difficile dopo che il crollo dell’URSS. René González (Edgar Ramírez), un pilota cubano, ruba un aereo e fugge da Cuba, lasciandosi alle spalle la sua amata moglie (Penélope Cruz) e figlia. Comincia una nuova vita a Miami, mentre altri disertori cubani presto seguono. Prendono contatti con le organizzazioni anticastriste violente responsabili di attacchi terroristici sull’isola per sabotare il turismo. Ma la loro missione è ben diversa, quella di infiltrarsi in questa rete di nemici acerrimi di Fidel Castro.
“Quello che mi interessava era iniziare il film con la vicenda di due individui che scappano da uno stato autoritario – afferma Assayas – e in qualche modo cercano di ricostruire la propria vita in modi diversi, opposti ma che diventano amici per caso, non sanno di essere entrambi delle spie. Fino ad allora la storia è raccontata dal loro punto di vista, poi improvvisamente la prospettiva cambia”.
Il film è stato girato in gran parte a Cuba e Assayas racconta di aver avuto il permesso di girare nelle basi militari, negli alberghi dove sono avvenuti gli attentati, al quartier generale della Sicurezza di Stato cubana, luoghi in cui nessuna troupe cinematografica era mai stata prima. “Certo eravamo monitorati, ma abbiamo lavorato in libertà, senza controlli. Ho anche incontrato due dei protagonisti della vicenda narrata e la moglie di González che all’inizio non volevano che facessi il film, erano sospettosi”.
Penélope Cruz parla dei cubani de L’Avana come di un popolo meraviglioso, con un grande cuore e tanta solidarietà. “Quando devono parlare di come si sentono e vivono nel loro paese hanno però difficoltà a condividere i loro sentimenti e ciò mi preoccupa. Trovo strano che ancora oggi non si parli liberamente. Quanto al mio personaggio, non mi identifico con Olga, lei è molto estremista e a me non piacciono gli estremi, avevo bisogno di capirla. Non scelgo sempre un personaggio con il quale sono d’accordo al cento per cento, a volte mi basta solo capire come la pensa, quali sono le sue motivazioni, non mi deve per forza piacere, semmai avere qualcosa che mi affascina”.
Gael García Bernal non è d’accordo con chi riduce il suo personaggio, uno dei The Cuban Five, a spia: “Possiamo dire che quello che lui e i suoi colleghi fanno poco centra con il lavoro della spia che va magari altrove ad uccidere, loro cercano invece di fermare la violenza. C’è un atto d’amore che li ha spinti a questa missione, accettando di lasciare le proprie famiglie e di trascorrere degli anni in prigione e quello che non li ha fatti impazzire è l’amore. Non hanno compiuto fatti efferati, semmai il loro obiettivo è di fermare la violenza e se pensiamo al terrorismo che è stato fermato, forse ne è valsa la pena”.
Il paradosso finale del film è che un un gruppo di ufficiali cubani cerca di bloccare l’attività di un gruppo terroristico e la FBI invece di arrestare i membri di quest’ultimo, arresta loro. “La FBI non fa nulla contro il terrorismo anticubano, è inerte perché in Florida si fa la politica, bisogna essere amici della comunità cubana dei fuoriusciti se si vuole conquistare questo stato, a prescindere che si sia democratici o repubblicani- spiega il regista – La FBI monitora i gruppi terroristici, ma nel contempo è molto tollerante, quando li coglie in flagrante li ferma e poi li rilascia. La posizione americana è sempre molto ambivalente”.
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