Asia negli ultimi giorni di Kurt Cobain


A. ArgentoAsia Argento, occhiali con la montatura vistosa e capelli alla maschietta, si vede appena in paio di scene, prima stesa sotto le coperte e poi con indosso solo una t-shirt bianca senza neanche gli slip: forse per questo, per evitare “sovraesposizioni” non vuole dare interviste su Last Days, l’atteso film sugli ultimi giorni di Kurt Cobain firmato da Gus Van Sant. Parlerà, dicono gli addetti stampa, solo a proposito del progetto di George Romero Land of the Dead.

Ma la conferenza stampa del film non è comunque una passeggiata: il protagonista Michael Pitt (uno dei tre angeli caduti di The Dreamers di Bertolucci) sembra addirittura più “fuori” del suo personaggio, con gli occhi rossi e le frasi biascicate. Più loquace il regista, che due anni fa si portò a casa la Palma d’oro e il premio della regia con Elephant, sul massacro compiuto da due adolescenti nel liceo di Columbine, lo stesso episodio raccontato, con tutt’altro stile, da Michael Moore. Gus, che continua a lavorare produttivamente con la tv HBO, ha ormai una cifra personalissima che rasenta la videoarte. Concettuale, con tempi dilatati e lunghe pause meditative, fuori da ogni realismo: un cinema sperimentale ed estremo che gode comunque di acerrimi sostenitori: anche chi non è qui a Cannes può giudicare di persona, perché Last Days esce in Italia in contemporanea, distribuito dalla Bim. 
Last Days farà certamente discutere. Soprattutto i fan del leader dei Nirvana, che si sparò un colpo di fucile a 27 anni, nel ’94. Magari anche la vedova, Courtney Love, che il film non l’ha ancora visto ma dovrebbe vederlo. “Sapeva del progetto e avrebbe potuto mandarci in tribunale, non l’ha fatto”. Del resto sono almeno dieci anni che il cineasta lavora sulla biografia del musicista. “All’inizio racconta Van Sant – volevo fare una specie di biografia abbastanza tradizionale. Poi ho parlato con molte persone che l’hanno conosciuto e ho cominciato a pensare che sarebbe stato meglio concentrarsi sugli ultimi due giorni della sua vita. Avevo scelto un ragazzo danese che non parlava affatto inglese, sarebbe stato un personaggio muto, poi ho incontrato Michael Pitt che allora aveva 17 anni. Il tempo è passato e Michael è cresciuto, ma abbiamo cercato di avvicinarci a lui studiando le sue foto… Gli ultimi giorni della vita di Cobain sono stati totalmente perduti, noi li abbiamo raccontati come finzione, anche se dietro c’è la verità”. Trasformando Michael in Kurt e Kurt in Blake: un giovane artista schiacciato dal peso del successo e dalle pressioni dei discografici, che si ribella a tutto questo cercando l’isolamento in modo quasi psicotico. Eppure Michael Pitt è Kurt Cobain: gli somiglia fisicamente, nel modo di muoversi e in tanti dettagli, come la passione per la pastina condita con il formaggio fuso. Van Sant lo pedina tra i boschi e la casa vittoriana in decadenza (una tenuta a Garison, nei pressi di New York) dove vegeta quasi come un uomo lupo, concedendosi una breve e surreale conversazione solo con un rappresentante della Pagine Gialle (non un attore ma un impiegato capitato per caso sul set, credendolo un negozio di abiti usati, e subito arruolato da Gus). Michael suona la chitarra elettrica e compone un paio di brani e ci sono vari momenti musicali, nel film, dove compare anche Kim Gordon dei Sonic Youth, responsabile, in parte, della colonna sonora.

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13 Maggio 2005

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