VENEZIA – “Come sono contento ora di essere diventato un burattino di legno”, dice Nicola/Ascanio Celestini, novello Pinocchio, all’inizio di Viva la sposa, favola di un’umanità sospesa che si muove tra le strade e i bar del Quadraro, a Roma. Interpretato dal regista con Salvatore Striano, Alba Rohrwacher e Veronica Cruciani, il film arriva alle Giornate degli Autori cinque anni dopo l’esperienza in concorso di Celestini alla Mostra con La pecora nera, ed è prodotto, tra gli altri, dai fratelli Dardenne.
Il protagonista Nicola è un teatrante senza molti ingaggi che passa le giornate tra una sambuca e l’altra e un giorno si imbatte in Sasà (Salvatore Striano), che campa truffando le assicurazioni con finti incidenti. Inaspettatamente tra i due si crea un legame, che finirà per coinvolgere anche la prostituta Anna (Veronica Cruciani) e suo figlio Salvatore, e in qualche modo anche Sofia (Alba Rohrwacher), presenza/assenza nella vita di Nicola, mentre di tanto in tanto compare, come una visione, un’americana vestita da sposa (Mimmi Gunnarsson). Con il suo sguardo trasognato, Celestini mette in scena un’umanità che vive ai margini e che sembra destinata a subire, così come subisce Sasà quando viene arrestato e ammazzato di botte in questura. Una scena che ha scatenato le ire del sindacato di polizia Coisp, che qualche giorno fa ha diffuso una lettera piuttosto aggressiva contro il film di Celestini, che uscirà nelle sale con Parthènos.
Ha fatto molto rumore la lettera che le hanno mandato gli agenti del sindacato di polizia Coisp, attaccando il film per la scena della polizia violenta. Come risponde?
Mi hanno accusato di parlare degli assassini e non delle vittime, tutto questo perché avevo fatto delle letture su un ragazzino di 16 anni, Davide Bifolco, ucciso dai carabinieri al rione Traiano. Ma io non ho fatto un lavoro di inchiesta, ho registrato le voci del padre e della madre che mi parlavano di questo ragazzino da vivo, che non ha potuto diventare grande. C’è un destino che incombe su chi abita in luoghi dove si ingaggia una guerra tra fazioni, tra le quali a volte c’è anche lo Stato che, a rione Traiano è nelle vesti di un carabiniere che tira fuori la pistola… cosa che non succederebbe ai Parioli a Roma. Ma perché un ragazzino che non ha commesso reati ai Parioli torna a casa e al rione Traiano muore? Ho cercato le storie di queste persone quando erano vive per raccontare che facevano una vita normale. Giuseppe Uva faceva il muratore e aveva dei barboni per amici. Certo, viveva in modo marginale, ma possibile che non ci sia posto per uno che vive col suo bicchiere di vino alla stazione e non ti chiede nulla? Ho cercato di raccontare quella storia per dire che sono tutti esseri umani.
Come mai sono passati 5 anni dal suo precedente film?
In questi 5 anni ho scritto due libri e debuttato con due spettacoli teatrali, più uno in Francia e Belgio. Tra tutti gli impegni c’è stata l’elaborazione e la scrittura di questo film e l’iter per la produzione del film, che non è stato semplice e ha guardato fuori dai confini, in Francia e Belgio”.
Infatti tra i produttori ci sono i fratelli Dardenne, com’è andata?
Li avevo già contattati per La pecora nera ma era troppo tardi perché potessero entrare in produzione. Stavolta mi sono mosso prima e ho mandato la sceneggiatura per tempo, sapendo che conoscono alcune mie cose teatrali, visto che ho lavorato molto in Belgio e nel 2013 ho persino vinto il premio per il miglior spettacolo belga con un testo che ha debuttato a Liegi, la loro città. Loro due, però, non li conosco personalmente.
So che le storie del film sono nate dall’osservazione nei luoghi stessi in cui è ambientato…
Ho girato per il Quadraro in cerca di un luogo credibile, di elementi concreti intorno a cui costruire una storia. È stato un lavoro di ricerca sul campo per reperire storie e spunti che so che potrebbero sembrare surreali, ma che invece riguardano una realtà che, semplicemente, conosciamo poco. Io la conosco un po’ meglio perché mio papà era del Quadraro e io abito a Morena, poco distante fuori città, e nei miei lunghi viaggi tra metro e bus, con relative pause nei bar, mi capita di ascoltare frammenti di conversazione che mi ispirano, oppure di vedere quel mondo in cui le persone sopravvivono con le piccole truffe.
Quindi è ispirato anche a episodi reali?
Quello che muore all’inizio del mio film è ispirato a un signore che morì nel mio quartiere quando ero ragazzo: girava in bici e aveva fatto talmente tanti incidenti per far campare la famiglia con le truffe alle assicurazioni che ormai era tutto ricucito, sembrava Frankenstein, e noi ci stupivamo sempre che fosse ancora vivo. Infatti poi è morto. Sono suggerimenti narrativi, a una persona che scrive non basta l’immaginazione per creare cose così.
Al centro di tutto però c’è il suo personaggio Nicola, un burattino di legno…
Il mio Nicola è come Pinocchio, un bambino che raramente ha paura e a cui non propongono di farlo mangiare senza prima farlo lavorare, ma è un bambino. Un bambino che non essendo nato non ha nemmeno i documenti. Mi hanno raccontato tempo fa la storia di un bambino di 9 anni
arrivato sui barconi a Lampedusa che, pur conoscendo pochissimo l’italiano, è scappato da un centro e ha chiamato un’operatrice per dire che era arrivato da solo a Milano e voleva andare in Svezia. Questo è Pinocchio: un personaggio senza paura. Certi personaggi non pensano nemmeno di avere un destino, ma se non si interrogano sul destino, gli si può rivoltare contro.
Come ha composto il puzzle del cast?
Ho conosciuto Salvatore Striano perché l’ho visto in uno spettacolo in carcere, dove poi sono tornato per vedere il film dei fratelli Taviani. È stata una bella emozione perché era la prima proiezione che facevano a Rebibbia, con i detenuti che all’inizio ridevano ma poi sono rimasti in silenzio fino alla fine. L’ho scelto perché è un bravissimo attore, sa avere una recitazione forte ma che resta sempre nei margini della credibilità, e ha una voglia straordinaria di lavorare. Poi c’è Alba Rohrwacher, che ho conosciuto diversi anni fa grazie a Veronica Cruciani, anche lei nel cast del mio film, quando era appena uscita dal Centro Sperimentale e non aveva ancora mai fatto cinema.
La sposa che ogni tanto appare al Quadraro è la nostra illusione? Un’illusione evanescente?
Per me la sposa è una delle parti del film per cui ognuno trova la sua spiegazione. Un film non è un problema di matematica che può essere risolto in un solo modo, anzi credo che lo spettatore abbia bisogno di trovare da solo delle soluzioni. Per me quella sposa significa tante cose, ma non penso sia interessante che le dica io.
Come sta vivendo questo ritorno a Venezia, un “palcoscenico” comunque complicato?
Ho fatto il mio film, c’è poca differenza tra l’essere qui e il non esserci, secondo me, tranne per il fatto che qui posso incontrare delle persone e spiegare per quale motivo sono arrivato a questo punto. Ma è il film che conta.
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