Arnaud Desplechin: “Il cinema è la forma d’arte più perfetta del XX secolo”

L'intervista al regista francese, che ha incontrato al pubblico di Taormina in occasione della presentazione del suo ultimo lavoro: Filmlovers!


TAORMINA – Stanlio e Ollio, Lubitsch, Pier Paolo Pasolini, Nanni Moretti, Woody Allen: sono solo alcuni dei grandi autori citati da Arnaud Desplechin nella lezione di cinema offerta al pubblico del 70° Taormina Film Festival. Un incontro in cui il cineasta francese – reduce da un film in cui tutto il suo amore per il cinema viene rivelato come in una lettera d’amore, Spectateurs! – analizza alcuni dei punti di riferimento della commedia cinematografia, genere di cui è un grande esponente contemporaneo. Proprio a Taormina, il film viene presentato nella sua versione internazionale intitolata Filmlovers!.

Fondendo documentario e finzione, il lungometraggio racconta un percorso di scoperta, innamoramento e ricerca sul cinema che combacia con quello dello stesso regista. “In realtà non volevo fare un film sul cinema, ma sugli spettatori. – ci racconta il regista poco prima di salire sul palco di Taormina – Ci avevo pensato tante volte ma ero schiacciato dagli esempi passati come Godard o The Fabelmans di Spielberg. Il produttore mi aveva proposto di fare un documentario sul filosofo Stanley Cavell, ma temevo che sarebbe stato spaventosamente noioso. Quindi ho preferito servirmi di me stesso e utilizzare i miei ricordi. Non lo considero un documentario, per è una specie di saggio in cui ci sono degli aspetti di finzione e degli aspetti documentaristici”.

Il nome del protagonista di Filmlovers! è un certo Paul Dedalus, già protagonista del film del 2015 I miei giorni più belli, e che qui torna – nella sua versione da adulto – ad essere interpretato dall’attore francese Quentin Dolmaire. “Non ho inventato tanti personaggi, ne ho inventato soltanto qualcuno, uno di questi è Paul Dedalus, che chiaramente è il mio alter-ego. – spiega Desplechin – Quello che amo di Paul Dedalus è che ama ammirare la sua donna, i suoi amici, i film, i libri. Seguire l’educazione di Paul mi sembrava perfetto per descrivere il viaggio dello spettatore”.

Dalla fotografia all’immagine in movimento, un viaggio di alcuni decenni che ha portato a una forma espressiva di impareggiabile potenza. Ma il cinema è un punto d’arrivo o di passaggio? “Secondo me è la forma d’arte più perfetta del XX secolo, ma non so cosa arriverà nel XXI secolo. Quello che più ammiro del cinema, la sua vera forza e che il cinema non è arte pura, ma anche intrattenimento. Certe volte capita che nel cinema ci sia dell’arte e bisogna lavorare perché questo miracolo accada” ci risponde il regista prima di rivelarci su cosa stia lavorando per il prossimo futuro: “Sono molto impegnato. Sto lavorando su due progetti: un melodramma orribilmente triste e una commedia che spero sia orribilmente divertente”.

Salito sul palco al fianco di Marco Müller, al netto di alcuni black out elettrici che hanno esposto lo stesso Desplechin a una “involontaria situazione di comicità”, l’autore ha tra le altre cose raccontato un aneddoto che ben incarna la sua idea di cinema: il suo incontro con Orson Welles. “Ero molto giovane, frequentavo la scuola di cinema e mi sono recato alla cineteca con un amico. Ci siamo messi in fila per due ore e lo abbiamo aspettato per un’altra ora. Poi è salito sul palco portato su una specie di portantina, perché era troppo grasso per fare diversamente. Il grande maestro ci ha parlato di arte e di cinema. Infine, ci ha guardati: eravamo tutti sui vent’anni, studenti di cinema. Ci chiese chi voleva diventare un regista. Tutti, indistintamente, alzarono le mani. Io e il mio amico ci siamo preoccupati dicendo che non sarebbe stato facile sfondare. Poi Welles chiese chi volesse lavorare nell’intrattenimento. Io e il mio amico alzammo ancora la mano, ma questa volta eravamo gli unici. Da quel momento iniziai a considerare il mio desiderio di intrattenimento una gloria piuttosto che una vergogna”.

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