L’idea di fare questa sorta di performance dal vivo, ti viene anche dalla frequentazione col mondo dei musicisti?
Sicuramente questo c’entra, ma l’idea non era precostituita. Siamo partiti senza pianificare nulla, abbiamo girato senza sapere cosa ne sarebbe venuto. Il materiale poi è rimasto nel cassetto un paio d’anni, durante i quali è successo molto altro: i bombardamenti in Kosovo, la divisione dei CSI… In realtà il risultato è dovuto al fatto che, dopo tutto questo tempo, un giorno ho deciso di farlo vedere a degli amici, e così l’ho montato in tre giorni su due VHS di casa. Avendo solo due piste, il video e l’audio per la musica, il commento non l’ho potuto registrare. Così è rimasto, e così rimarrà, perché contemporaneamente ho scoperto la necessità della presenza fisica per una cosa di questo genere: così come noi fisicamente siamo andati a Mostar, ritengo sia necessario che il pubblico faccia il minimo sforzo di venire di persona a vedere e sentire il ricordo di quell’esperienza. E questa cosa non diventerà mai un documentario classico, con la voce a commento registrata fuori campo: rimarrà così finché la porterò in giro, poi sparirà…
Quindi ora stai girando l’Italia con una specie di tournée… Questo cambia i tuoi progetti, i lavori in corso?
Siamo già stati a Torino, Bologna… poi ci sono Reggio Emilia (i concerti dei CSI, a cui Ferrario si è aggregato, hanno fatto parte delle attività di cooperazione allo sviluppo promosse dalla Regione Emilia Romagna, ndr)… non so le date precise. Comunque, dopo aver fatto tre film in tre anni (ricordiamo: Tutti giù per terra,1997; Figli di Annibale, 1998 e Guardami, 1999 – ndr), posso prendermi un po’ di pausa. Penso che andremo un po’ in giro quest’estate, e magari fino a fine anno. Intanto sto anche girando un documentario su Pasolini e ci sono due sceneggiature che stanno seguendo il loro normale iter produttivo…
Dopo le guerre, i bombardamenti, cominciamo a vedere più filmati sull’ex-Yugoslavia, sia documentari occidentali che film di quelle parti: c’è un’attenzione prima sconosciuta. Perché, secondo te?
Il cinema yugoslavo era uno dei più belli al mondo, e non parlo solo di Kusturica. Ma di quel paese non allineato, socialista, non interessava nulla a nessuno. Solo quando è cominciato a scorrere il sangue, è diventato un soggetto drammaturgicamente interessante per l’Occidente. Però quando noi occidentali andiamo là, in realtà non facciamo che girare delle cose su di noi, non su di loro. Loro c’erano anche prima, ma noi preferivamo ignorarlo.
Il filmato finisce con un uomo che corre da solo nello stadio deserto di Mostar. E il testo che leggi dice che egli può rappresentare il simbolo di un pensiero che ancora non ha forma e che forse un giorno ce l’avrà. Ma la forma della sua corsa sull’anello dello stadio ha forma circolare…
Sì, questa può essere una lettura; l’ambivalenza è proprio qui: è un uomo che corre in tondo o è un uomo che coraggiosamente corre, si allena, è vivo di nuovo? Non ho una risposta, e non so darla: per questo la conclusione rimane aperta.
Essere stati laggiù vi ha messo in contatto con qualcosa che non possiamo spiegare fino in fondo, dall’esterno e col senno di poi…
Sì: noi eravamo lì, come dice anche Giovanni (Lindo Ferretti, il cantante dei CSI) nel video, almeno per dire “eccoci, siamo qui”. Poi, anche a causa della “balcanizzazione” dei C.S.I. (divisisi, anche in seguito a quell’esperienza), ma soprattutto della necessità di prendere distanza per capire meglio quell’esperienza, il materiale è stato accantonato. Quando l’ho montato ho voluto però che i C.S.I. lo vedessero: il frutto di un’esperienza umana comune, se non fosse stato condiviso da tutti i suoi partecipanti, nonostante il commento sia mio personale, non l’avrei potuto mostrare ad un pubblico.
E questa dimensione personale, di presenza fisica è diventata la dimensione naturale, l’unica possibile, in cui il pubblico può condividere quell’esperienza, a suo modo. Grazie a Davide Ferrario, ai CSI, e a chi assisterà a questi eventi: anche solo per dire “eccoci, siamo qui”…
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