Al concorso internazionale nuove immagini del festival Arcipelago hanno partecipato 44 opere. Due i filoni principali, opere di computer animation e videofilm girati e prodotti in digitale. Ovviamente, in un mondo ancora fortemente sperimentale come questo, molti erano i prodotti ibridi, che mescolano cioè varie tecniche (animazione digitale in 2 o 3 dimensioni, effetti speciali di post-produzione, fiction e videoarte, eccetera). Panorama quanto mai ampio di quanto ci sia in giro come creatività digitale, il concorso ha mostrato il gran fermento che ruota frenetico attorno ai nuovi strumenti creativi, molti affrontati con l’impulso della sperimentazione tecnica, altri integrati nella realizzazione di “belle storie e basta” (insuperato parametro resta Toy Story), video di cui si fa apprezzare innanzitutto la piacevolezza globale, oltre alla capacità tecnica.
I generi, difficilmente definibili, andavano dal videoclip (tra gli altri quello italiano per la dance commerciale nazionale degli Eiffel 65) all’animazione caleidoscopica e un po’ psichedelica (ma realizzata coi mezzi più attuali), per esempio dell’interessante Testa di cane di Licio Esposito. Va sottolineata la presenza competitiva di alcuni prodotti italiani davvero validi. Tra i quali Le foto dello scandalo ha vinto come miglior cortometraggio italiano: interessante lavoro di animazione 3D dove i personaggi, fissati nei successivi istanti della storia, vengono mostrati in un unico piano-sequenza attraverso una livida città da poliziesco hard-boiled sulle tracce di una vicenda gialla. Il tutto, in uno splendido b/n creato però al computer.
Senza seguire uno schema rigido ma cercando “insiemi” di appartenenza, citiamo alcuni lavori particolarmente interessanti.
1. Nell’ambito dell’animazione bidimensionale “classica” (il nome cartoni animati farebbe arricciare il naso agli addetti) segnaliamo innanzitutto il vincitore della categoria miglior cortometraggio di computer animation Tony’s Playstation, dove il protagonista passa il suo tempo al computer evitando moglie e impicci domestici, tra citazioni di classici videogiochi, birra e tanta ironia, per finire col classico “game over” che rivela una sorpresa su chi sia il giocatore e chi il personaggio di un videogioco.
2. Ricordiamo poi il giapponese Jyokyo monogatari, triste ritratto del Giappone contemporaneo, ispirato al Viaggio a Tokyo capolavoro del maestro Ozu; e anche il polacco Chikai forte debitore dei manga e tratto da un racconto di Mishima.
3. Tra le opere di animazione tridimensionale (categoria tra le più interessanti anche per originalità) cito volentieri alcuni corti che hanno avuto la forza di raccontare una piccola storia, divertente, tenera o malinconica, ma con una capacità narrativa accoppiata ad un’alta componente tecnologica. Da notare come molti tra questi avessero come protagonisti, degli insetti volanti: come il tedesco Bsss dove una mosca scopre, sul tavolo di una cucina, la foto di un elefante, dalla cui proboscide resterà fatalmente affascinata; o come l’australiano Mozzie, dove due zanzare sferrano un attacco micidiale contro un essere umano fastidioso; o ancora il francese Paf le moustique dove una zanzara viene attirata dalla musica proveniente da un appartamento in cui un ragazzo si diverte a fare bolle con il chewing-gum.
4. Altri corti vedevano come protagonisti animali, macchine o extraterrestri, (re)inventati per l’occasione in modi visualmente divertentissimi, come per esempio l’americano How to build a better mouse trap, dove una macchina infernale, ultima invenzione della fantomatica Blackmire Industries, semina il panico in una colonia di simpatici topini; oppure il tenerissimo Rendezvous, dove il pupazzetto del cattivo tempo e la pupazzetta del bel tempo si alternano in una specie di “barometro a cucù” senza mai incontrarsi, finché…
5. Citazione d’onore per il tedesco Planet paranoid, che ipotizza il ritrovamento, fra qualche millennio, dell’astronave Voyager (lanciata dalla NASA nel 1977) da parte di buffi alieni verdi a forma di acino d’uva. Questi, scoprendo una foto di una ragazza che mangia un grappolo d’uva, disintegrano seduta stante la Terra per precauzione.
6. Notevole anche l’incantevole e malinconico The pit, che ha qualche parentela con le atmosfere di Nightmare before Christmas. Angosciante anche uno dei migliori in assoluto, il francese Premier domicile connu che presenta i nove mesi di gravidanza visti (in modo estremamente realistico) da un feto, che a un certo scoprirà avere accanto una sgradita coinquilina.
7. Interessanti, infine, anche lo svizzero Casting queen, dal finale un po’ greve, e il brasiliano 253-B, storia di una studentessa di medicina costretta a prostituirsi per pagarsi gli studi: due opere dove però la narrazione risulta asservita all’esibizione tecnica. Tutto il contrario del bel Oil & vinegar, dell’americano Mike Blum, sviluppatore di software per la Disney (suoi prodotti sono stati usati per Il gobbo di Notre Dame, Fantasia 2000 e il prossimo Dinosaur), alla sua seconda opera creativa.
Un prodotto esteticamente bellissimo, anche per merito del famoso software Maya, che non ha nulla da invidiare a “fratelli maggiori” come il già citato Toy Story. D’altronde la stessa Disney, partner della Pixar, è fortemente impegnata nell’animazione digitale; seppure a distanza di anni dal clamoroso flop di Tron, come si racconta anche nell’interessantissimo documentario di 92′, narrato dal mitico Dottor Spock Leonard Nimoy, The story of computer graphics, proiettato nella serata finale di Arcipelago. 8. Passando a prodotti che univano in vario modo la recitazione umana e la tecnologia digitale (animazioni, post-produzione), ricordiamo brevemente gli australiani Little echo lost (poetico racconto di un “uomo dell’eco”) e Steeling the skies, e il giapponese Dream.
9. Discorso un po’ diverso va fatto per il vincitore del premio come miglior cortometraggio in video digitale, Liquid dreams che arriva da Singapore e che sfrutta con misura alcuni effetti digitali per realizzare un film onirico di grande impatto emotivo che sfrutta la tecnologia in modo perfettamente coerente con la visione cinematografica del suo autore, Mark Sun Tse Hong. 10. Discorso simile si può fare anche per Purgatory dell’australiano Michael Frank, dove una ragazza vittima di un incidente si risveglia in ospedale, cammina per i corridoi fino ad assistere alla morte di un’altra ragazza facendo un’angosciosa scoperta. Grazie a due attrici gemelle e alla proiezione a senso inverso di alcune scene, la storia risulta credibile.
11. Vicino a questi il filmato di Jon Jost, opera fuori da ogni schema di questo maestro del cinema (ricordiamo solo Tutti i Vermeer di New York) che da qualche anno vive a Roma, si occupa dei suoi figli, gira solo in DV e monta le immagini sul computer di casa. Un film al limite del documentario, questo Some easy pieces, e della registrazione casuale di dialoghi, facce, pensieri che mostrano una poetica in divenire e che rinuncia a definizioni razionali.
11. Da questa carrellata risultano esclusi molti titoli italiani: in Italia non sembra essere per nulla chiaro (se si fa eccezione per il citato Le foto dello scandalo e per l’ospite Jost) che i mezzi tecnici non devono essere usati per sfoggio (ma questo è un peccato di giovinezza di molti altri autori di questi nuovi formati) e che bisogna imparare a usarli.
12. Concludiamo segnalando la prima edizione di un particolare concorso: “Corto.web, concorso internazionale Online”, che ha visto vincitore, per la giuria (la stessa della rassegna eMovie/Storie digitali), il divertente “cortissimo” spagnolo Como cultivar marihuana en 1 min. y 13 segundos. Questa rassegna, visibile da chiunque all’indirizzo www.kwcinema.it/cortoweb, ha presentato video particolarmente adatti, sia per brevità (e quindi leggerezza in termini di kilobytes) che per dinamicità, alla fruizione via Internet. La distribuzione di prodotti audiovisivi, si sa, è ancora in fasce: forse un giorno, come ha sottolineato Stefano Martina, questo sarà il modo in cui si faranno i festival.
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