Archibugi tra musica e poesia, verso il nuovo film

La regista romana ha portato al TFF Parole povere, documentario tra musica, cinema e parole dedicato a Pierluigi Cappello, poeta friulano vincitore del Premio Viareggio


TORINO – “Ad aprile inizio le prove del mio nuovo film Il nome del figlio, che è tratto da una pièce teatrale ed è prodotto da Indiana production, e maggio sarò sul set. Sto scrivendo ora la seconda stesura della sceneggiatura con Francesco Piccolo e sto chiudendo il cast. Insomma siamo in dirittura d’arrivo… ma più di questo non posso dire”. Per i protagonisti, la scelta è caduta di nuovo – dopo Questione di cuore – su Micaela Ramazzotti, che sarà affiancata da Valerio Mastandrea, Valeria Golino e Alessandro Gassman. Lontana dal grande schermo ormai dal 2009, Francesca Archibugi torna protagonista al Torino Film Festival, dove insieme all’amico direttore Virzì ha presentato il documentario Parole povere sul poeta Pierluigi Cappello: “Uno dei progetti che ho realizzato tra i vari film saltati in questi anni – confessa – Quello del regista è un mestiere difficile in cui i progetti complicati saltano facilmente. In più, negli ultimi due anni, nel cinema italiano è scoppiato tutto. Ero sul punto di girare Nel mare ci sono i coccodrilli, avevo già fatto sopralluoghi e cast, ma poi non si è chiuso finanziariamente”.

E allora eccola a Torino, Francesca Archibugi, che nella sezione E intanto in Italia ha reso omaggio al poeta Pierluigi Cappello, “un friulano cupo e malinconico, un guerriero in sedia a rotelle”, con un film che è nato dalle riprese del concerto di Battista Lena che accompagnava la lettura delle poesie, e si è evoluto con il racconto della sua vita complicata, le chiacchiere con i suoi amici, le foto del passato, i momenti di quotidianità e la musica, che tutto accompagna. “Questo è un film completamente diverso – ha detto la regista di Questione di cuore – non c’è sceneggiatura e non riuscivo a spiegare nemmeno a me stessa cosa volessi fare. Mi sento vicina a Cappello perché entrambi facciamo ‘people-watching’: i suoi versi sono pieni di persone raccontate con una frase e la sua poesia non lavora come parola, ma come immagine. L’ho scoperto grazie al premio Viareggio e l’ho subito amato, poi ho pensato: ‘Prima che diventi un poeta da sussidiario vecchio e brutto, riprendiamolo da giovane e bello”. Il risultato sono 60 minuti “che sono come una torta i cui ingredienti sono la poesia, il cinema e la musica”, che descrivono il creatore di una poesia artigianale e paziente che si nutre anche e soprattutto dell’errore, e che sa bene che il mondo si rifugia in un dettaglio. E ora, promette la regista romana, si immergerà di nuovo nella scrittura, perché “Scrivere è il mio vero lavoro – dice – ogni giorno scrivo 5-6 ore, la mattina edifico e il pomeriggio correggo”.

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