Andrea Segre: “In Kazakistan per intervistare gli italiani degli anni ’60”

"I sogni del lago salato" accosta gli slanci di sviluppo industriale a distanza di 50 anni e migliaia di km


VENEZIA – Il miraggio (tradito) del progresso, dello sviluppo, della ricchezza che premia i sacrifici di una generazione e ricade positivamente su quella successiva non è solo il cuore del bellissimo film cinese Beixi moshuo (Behemoth), ma anche de I sogni del lago salato di Andrea Segre, che dopo il passaggio fuori concorso al Festival di Locarno è arrivato alle Giornate degli Autori nell’ambito della nuova iniziativa Laguna Sud – Il cinema fuori dal Palazzo, che ha portato la proiezione alla Remiera di Pellestrina. Il regista di Come un uomo sulla terra è partito per il Kazakistan nel settembre 2014 con una domanda in testa: “Sapete che state vivendo lo stesso sogno che fu degli italiani negli anni ’60?”.

Sì, perché il Kazakistan viaggia euforico (o forse è meglio dire viaggiava) a un passo di crescita del 6% annuo, che il nostro Paese ebbe solo durante gli anni del boom, e lo fa soprattutto grazie allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi, in gran parte gestiti dalla nostra Eni. I sogni del lago salato sarà in 15 sale – che possono aumentare, visto che il film viaggerà “su richiesta” con la distribuzione Zalab – dal 1° ottobre, sempre accompagnato dal regista.

Come le è venuta l’idea di esplorare la situazione kazaka?
Ho sempre subìto il fascino estetico di quel Paese e ho sempre avuto voglia di andarci. Quando finalmente ho impostato il mio viaggio, ho studiato un po’ prima di partire e ho capito che lì potevo fare delle interviste impossibili, cioè potevo intervistare gli italiani degli anni ’60. Così il mio, da semplice, viaggio, è diventato il progetto di un film.

Ha capito subito che il punto era un progresso “frainteso”?
Spulciando tra gli archivi dell’Eni e rivedendo i documentari di De Seta e Bertolucci si percepisce che all’epoca non c’erano dubbi sul fatto che petrolio, gas e palazzi fossero simbolo di ricchezza e prosperità, mentre oggi per noi italiani quelle parole hanno un altro significato e la ruralità, i pescatori o le remiere sono passati dall’avere un’accezione negativa, di fatica e sofferenza, a un’accezione positiva.

Quindi c’è anche un sentimento di nostalgia…
Tutto il blocco orientale tra Cina e Kazakistan vive questo passaggio. Ne ho parlato anche con Jia Zang-Ke, che mi ha detto che il problema della Cina di oggi è che non riflette su ciò che sta perdendo. La nostalgia non ha a che fare con la conservazione, ma con un orizzonte di cambiamento futuro.

Quanto corre veloce il cambiamento in Kazakistan?
Talmente veloce che dal periodo delle riprese, un anno fa, a oggi, quel 6% di crescita annua si è ridotto enormemente per il crollo del prezzo del petrolio. Infatti anche i kazaki, oggi, si pongono più domande. È comunque impressionante vedere la neocapitale Astana, ipermoderna, dove si fa un salto in avanti di 50 anni.

Nel film ci sono le immagini che ha girato in Kazakistan mischiate a materiale di repertorio, compresi suoi filmini di famiglia…
Quelli provengono dall’archivio privato di Alberto Salvagno, il cugino di mia madre, e dall’archivio storico Eni. Quando siamo andati a girare però non sapevamo ancora che avremmo aggiunto materiali di repertorio, lo abbiamo deciso dopo perché mi sembrava interessante far dialogare il nostro passato col loro presente.

Sta preparando un nuovo film?
Sì, lo sto scrivendo e spero di girarlo l’anno prossimo. Il tema sarà la “fortezza Europa“, ma stavolta dal punto di vista degli europei e del loro rapporto con le immigrazioni.

Che bilancio fa della Marcia delle donne e degli uomini scalzi di ieri, che ha contribuito a organizzare? Hanno detto che è stata un successo, ma che c’erano pochi artisti...
E’ vero, c’era tantissima gente, e ne siamo felici, e non c’erano molti attori, ma il senso di questa iniziativa non era quello di una passerella per le star. L’idea era di affrontare con civiltà e democrazia l’arrivo dei migranti, per contrastare questa sensazione di essere schiacciati dalla paura, ed è bello che in tutta Italia si siano mosse circa 130mila persone per chiedere risposte chiare sull’apertura di corridoi umanitari, sulla chiusura dei centri di detenzione, sul diritto di asilo.

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