Andrea Renzi nel labirinto del tempo

Esce il 28 novembre distribuita da Luce Cinecittà l'opera prima di Sara Fgaier 'Sulla terra leggeri' con Andrea Renzi e Sara Serraiocco, un lavoro sulla memoria tra finzione e materiali di repertorio


Montatrice di molti dei lavori di Pietro Marcello, tra cui La bocca del lupo e Bella e perduta, produttrice con la Avventurosa e dal 2023 in proprio con la Limen, vincitrice dell’EFA per il miglior cortometraggio europeo nel 2018 con Gli anni, tratto dal romanzo di Annie Ernaux, Sara Fgaier debutta nel lungometraggio con Sulla terra leggeri, in concorso a Locarno 77 e ora in sala, dal 28 novembre, con Luce Cinecittà.

Un film che racchiude e sublima tutte le esperienze di questa cineasta italo-tunisina: l’amore per i materiali d’archivio, la contaminazione dei linguaggi, il mélo, l’uso viscerale della musica (ne è autore Carlo Crivelli) che diventa musicoterapia. Come il protagonista Gian (Andrea Renzi) spiega ai suoi studenti di etnomusicologia in una lezione universitaria. L’uomo, 65 anni, è stato colpito da un’amnesia dissociativa dopo la morte dell’amata moglie. La figlia Miriam (Sara Serraiocco) cerca di aiutarlo come può, consegnandogli un mucchio di vecchie foto e un suo diario degli anni ’80, il tempo in cui era nato l’amore travagliato per la nordafricana Leila. In una casa labirintica e in costante penombra, dove Gian si muove solo e smarrito, in compagnia di un gatto, riemergono frammenti del passato. Al Gian maturo si affiancano i suoi alter ego giovani (Emilio Francis Scarpa e Stefano Rossi Giordani), alla donna amata si sovrappongono altri volti femminili. Il film è un labirinto emotivo sulla perdita e il ritrovamento di se stessi e della persona cara, dopo un lutto che sembra inaccettabile. Tutto questo attraverso l’accostamento sapiente di immagini di finzione e materiali tratti da oltre dieci archivi in tre anni di ricerche.

“E’ un collage lirico che trae la sua prima ispirazione dal Carnevale dell’entroterra sardo, molto vicino alle danze dei mistici musulmani ancora presenti nel Maghreb, che ho filmato successivamente. Si tratta di rituali ancora potenti in cui la dimensione del visibile e quella dell’invisibile sembrano riuscire a comunicare”, spiega la regista. Che usa alcune parole dal libro di Julian Barnes, Livelli di vita, come chiave di volta: “Metti insieme due cose che non lo sono mai state e il mondo cambia”. “Leggendo e rileggendo quel libro, che parla anche di un lutto, cioè la perdita della sua compagna, ho compreso che quei rituali, i sogni e un discorso sull’amore anche come vertigine, discorso che mi sta molto a cuore, potevano convergere”.

L’amnesia non è solo oblio ma anche rifiuto, è il meccanismo per cui il defunto diventa invisibile, come se non fosse mai esistito. “Quando una persona non viene più ricordata diventa un fantasma, un’entità che scompare fino a diventare impalpabile. Gian, smettendo di ricordare, smette di dare vita a Leila, che così muore non una, ma due volte. Solo dialogando con l’invisibile, Gian riesce a ritrovare se stesso, torna ad essere padre, ma permette anche alla sua donna di continuare a vivere nel suo ricordo”.

Sulla terra leggeri è scritto “come un film di montaggio, con tanta voce fuori campo” e con tanti volti che riprendono vita dagli archivi. “E’ una fantasmagoria di immagini che possono parlare a tutti”, dice ancora Sara Fgaier. Sara Serraiocco si dichiara affascinata da questo lavoro che confronta gli attori con il repertorio, mentre Andrea Renzi ricorda un film che ha una struttura analoga, Teatro di guerra di Mario Martone. “Lì una parte del girato veniva dalla documentazione di uno spettacolo teatrale, ma c’erano scene strappate alla realtà dei Quartieri Spagnoli di Napoli. Anche in Sara Fgaier ho percepito il desiderio di una ricerca sul linguaggio cinematografico e questo mi ha fatto sentire da subito a casa. Il mio personaggio, Gian, trovandosi in un momento estremo, una situazione di smarrimento, pesca negli archivi della sua memoria personale, anche attraverso un oggetto ormai desueto come un diario scritto a mano”.

“Ognuno di noi – riflette la regista – può fare fatica a riconoscersi, nella nostra vita ci sono sempre strade iniziate e abbandonate, persone perse o morte. Gian cerca di salvare dall’oblio tutte le persone che siamo stati nella nostra vita. Dopo la rabbia e il dolore, è possibile aprirsi a un discorso metafisico, perché i morti non vogliono essere dimenticati finché non siamo noi che decidiamo di cancellarli. Leila resterà sempre finché Gian sarà vivo”.

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11 Novembre 2024

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