Tondo è un’immensa bidonville nei pressi del porto di Manila, nata intorno ad uno delle più grandi discariche a cielo aperto esistenti al mondo, la “Smokey Mountain”, ovvero la montagna fumante. Questa montagna di rifiuti che si estende per circa 30 ettari fra le bidonvilles di Navotas Malabon, accoglie nelle baracche di latta, cartone e legno, un milione di persone, che vivono senza acqua potabile, energia elettrica e fognature. E’ un quartiere che vive (muore) attorno a un nauseante e pittoresco ammasso di fango e detriti raccolti, sceverati e rivenduti da schiere di straccioni alle gang del riciclo. La montagna è casa e bottega per migliaia di filippini, molti bambini, che traggono briciole quotidiane di sopravvivenza da ciò che per gli altri è il cascame della vita: la spazzatura.
A tutto Tondo si intitola il cortometraggio charity di Andrea Bosca, opera prima da regista del noto attore, in anteprima nazionale ad Alice nella città: 15 minuti di film, 1 mese di prove, meno di 3 giorni di riprese, 60 di montaggio, 6 attori italiani, 16 filippini, di cui 6 bambini e una nonna. Prodotto da MovieMov, con il supporto di Lottomatica, per un budget di circa 10.000 euro, conta sulla partecipazione appassionata e volontaria di maestranze d’eccellenza, come Federico Schlatter alla fotografia e Luca Novelli alle musiche.
Un disegno, espressione ricorrente dell’infanzia, fa da filo conduttore del racconto. È un’idea particolare e poetica: da dove è arrivata, perché l’ha scelto come ‘protagonista’?
Il disegno è un mio modo di esprimere certe cose, da sempre: mi è naturale, quando sono pensoso, buttare giù degli schizzi. In questo caso è molto connaturato alla storia, perché immergendomi nella realtà dei bambini di Manila e di Tondo il disegno mi è subito balzato in mente come uno dei tratti più rappresentativi dell’infanzia e come loro modo di rappresentare il mondo. Tra l’altro mi serviva qualcosa che mi permettesse di fare un salto di migliaia di chilometri, da Roma alle Filippine, e di farlo con un mezzo visivo, il cinema, quindi il disegno mi ha consentito di raccontare una storia presente, fare dei flashback, introdurre dei parallelismi. E poi era bello da vedere: un personaggio dell’Occidente in crisi di valori, in bianco e nero, e il mondo cromaticamente schiaffeggiante che ho visto là – la vitalità nella miseria – che si inseguono in tutto il film.
C’è stata un’immagine reale di quel luogo, Tondo, che le si è subito impressa addosso e ha determinato in lei il bisogno di fare questo film?
Sì. Quello a cui sono emotivamente più legato è il cuore del viaggio: siamo passati in una discarica, in cui abitano, e abbiamo scoperto l’entusiasmo e la vitalità di un ‘teatro’ di bambini che stavano facendo ricreazione – al centro di un posto che, tutto intorno, era affumicato, maleodorante – con animatori di un’altra nazionalità, che ci hanno coinvolti. È stato così che ho capito come la situazione fosse molto più complessa e gioiosa di come poteva apparire. Le facce di questi bambini le ho messe nel film e sono tutt’ora la cosa a cui sono probabilmente più legato.
Come ha diretto gli attori – nella vita reale non professionisti – peraltro di una cultura, con una mentalità e un immaginario lontani da quelli nostrani?
Ho potuto girare al SET di Roma, per disponibilità di Antonella Quartaroli, cosa che mi ha permesso, a casa, con la piantina e i puffi, di intessere per ciascuno dei miei attori il personaggio intorno alla persona. Per sei mesi li ho frequentati, per un mese li ho fatti provare: è stata una vera compagnia, e tutto quello che si vede – semmai solo un po’ rielaborato o sintetizzato – è davvero successo. In questo senso siamo stati ‘neorealisti’ ma poi io gli ho dato una direzione rigorosa: li ho fatti allenare così, ma quando abbiamo girato li ho lasciati liberi, quindi loro avevano la possibilità di appoggiarsi – come spesso faccio con me stesso – su un approfondimento iniziale, con delle indicazioni molto precise, in modo che chiunque possa interagire. L’affettività che loro come popolo hanno molto radicata – anche se non c’è bisogno di andare in un altro mondo per trovarla, credo fosse quella della generazione dei miei genitori – è stata molto costruttiva. Dagli americani hanno ereditato il senso dell’entertainment, dagli spagnoli il concetto della comunità in senso cattolico: questo è colonialismo culturale; inoltre hanno l’aspetto asiatico, per noi esotico, quasi estraneo, come la capacità di fare silenzio, di grande potenza espressiva.
È stata una doppia ‘prima volta’ per lei: dietro la macchina da presa e come regista di se stesso.
Il progetto è figlio di una necessità, quella di dire una cosa precisa, di farla conoscere, e sono convinto che chi non fa direttamente un’esperienza del genere non la può raccontare: sono stati tre giorni di riprese, un inferno e una meraviglia. Agli attori non ho mai chiesto di ‘fare’ una cosa, li ho fatti arrivare nel mondo del cinema, spiegandogli cosa fosse una steady, per esempio. Il lavoro che ho fatto su me stesso era di necessità, perché dovevo pensare a loro, non a me, cosa che però mi ha sorpreso, perché finalmente potevo non pensare più, solo reagire rispetto al lavoro di preparazione. Non penso ci saranno altre volte da regista, se non dovessi sentire una necessità particolare come questa, perché non sono un regista, non sono uno che può prendere una storia scritta da un altro e trasformarla, perché a me piace moltissimo il rapporto con il regista, con lo sceneggiatore, ma da attore, quindi la scrittura di scena, lo ‘stare dentro’, motivo per cui non sarei riuscito a far interpretare il mio personaggio ad un’altra persona, che dimostra come io sia profondamente attore ed è quello che voglio continuare a fare.
Lunedì 20, all’interno di Alice nella città, ci sarà una grandissima proiezione per centinaia di bambini.
Tutto il progetto ha il focus narrativo sui bambini, è un film per tutti, ma anche per bambini, mission di Alice nella città, di cui MovieMov è la ‘costola’ asiatica, e sono loro che hanno prodotto il corto: l’intento è quello di stimolare un raffronto tra le realtà, sollecitando un dialogo con i bambini, che conosceranno Ben, il protagonista filippino. A tutto Tondo, che non è previsto passi al cinema e in televisione, sarà proiettato all’interno di eventi charity, che confidiamo di organizzare in tutta Italia, per sensibilizzare una raccolta fondi per Tondo, una comunità guidata da un prete, che sul luogo dimostra la messa in pratica, concreta, dei valori, in un connubio di spiritualità e pragmatismo.
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