BARI – La mancanza di armonia, l’impedimento di comprendere, eseguire e apprezzare la musica, l’Amusia.
“Il termine lo scopro leggendo e poi lo approfondisco in un libro di Oliver Sacks, Musicofilia, in cui c’è un capitolo dedicato all’amusia, che ho trovato una tematica molto interessante, che mi permetteva di raccontare, attraverso un film, una frizione, perché io sono una persona estremamente musicale, per cui mi sono posto in primis io la domanda: come sarebbe la mia vita se incontrassi qualcuno che non lo fosse?”, spiega Marescotti Ruspoli, il regista.
La malattia dà il titolo all’opera prima dell’autore, che sceglie la nobiltà e la finezza di una storia d’amore per affrontarla: Livia (Carlotta Gamba) fugge dalla musica e Lucio (Giampiero De Concilio) sopravvive grazie alla stessa. I due poli di una stessa armonia… o mancanza di armonia, a-musìa appunto, dal greco. “La musica mi è nemica e questo mi rende incompatibile con il resto del mondo … discoteche, concerti, ristoranti, le hall di qualsiasi albergo che abbia almeno tre stelle, le palestre, i luna park, i matrimoni, i funerali, gli ascensori, sono luoghi incompatibili con me, sono luoghi da cui mi devo tenere alla larga se non voglio soffire … Sai qual è la cosa più frestrante? Che nessuno mi crede, nessuno credo che io non riesca a sentire la musica, pensano che sia una sceneggiata o una ricerca di attenzioni ma… quali attenzioni??”, domanda Livia a Lucio.
Per un personaggio così, “al limite”, per Carlotta Gamba “bisogna cercare di interpretare sì, ma rispettando le forme di disturbo. Io ho lavorato su una mancanza, ho spostato quella dell’ascolto su qualche mancanza mia; in fondo Livia soffre di solitudine ed è qualcosa che conosciamo tutti, per cui ho cercato di avvicinarla a me, passando così per qualcosa di più vicino, cercando di empatizzare il più possibile con il personaggio”.
Mentre per De Concilio: “Il mio è uno di quei personaggi che non ha una caratterizzazione, e non potevo che mettermi in ascolto di Marescotti, soccombere alla mia solitudine ascoltando quella di Lucio, perché è questo quello che solito facciamo: ci manca qualcosa, la andiamo a cercare nell’altro, e nell’altro scopriamo ci sia altrettanto e così ci sentiamo più felici perché scopriamo essere qualcosa di tutti”.
L’infanzia e i pregiudizi, una sofferenza che spinge “alla fuga”, per lei, il cui approdo è un microcosmo di solitudine ma denso di sogni in potenziale: due esistenze che vivono un perenne andirivieni intorno alla musica.
Ruspoli – con il suo film di debutto in anteprima italiana al Bif&st, dopo il Premio del Pubblico al Tallin Black Nights Film Festival – sceglie un mondo un po’ periferico, una provincia quasi metafisica: la luce – nella fotografia di Luca Bigazzi – corrisponde al neon, gli spazi a un motel, Motel Amour. Un luogo-non luogo anzittutto, un rosso laccato prima e opaco poi fende il buio della notte, a sua volta feso dalla luce misteriosa del neon dell’alloggio a ore, così come l’incarnato pallido e lo sguardo celeste di Livia sono fesi dalla solitudine leggibile sull’angelico e malinconico volto.
Il presente è angosciante, lì nella stanza tematica dell’hotel in fondo squallido nell’essenza, e per lei s’innesta il ricordo: per la prima volta appare sullo schermo Domitille (Fanny Ardant) e una lacrima riga il volto di Livia. Con loro, nella famiglia, anche Ferdinando (Maurizio Lombardi) – marito della prima, padre della seconda – compositore di colonne sonore.
Per la signora Ardant, “per ogni film si rimette tutto in gioco, non c’è un’attrice che arrivi sul set, anche dopo aver fatto cento film, che abbia sicurezza: ogni volta c’è da ricominciare da capo, i parametri sono sempre nuovi, le persone cambiano e così, per ogni personaggio, un interprete può cambiare completamente l’anima. Stranamente, so perfettamente perché non ami qualcosa, ma non so perché ami qualcosa, dunque un copione che si legge con la naturalezza con cui si riesce a bere un bicchiere d’acqua l’ho amato: lo stile, che fosse una storia d’amore, che i personaggi non fossero mai appetibili, questo aveva un grande charme”.
Racconta il regista che, rispetto al coinvolgimento di Fanny Ardant, “mi è stata data l’opportunità di farle leggere il copione, timidamente ho accettato, silenziosamente ho aspettato. Non mi dimenticherò mai, un paio di settimane dopo, quando ricevetti un’email delle sei del mattino, in cui diceva che le era piaciuto”.
Nel film, dopo la prima notte al motel, la luce del giorno – e del tempo presente, quello della Livia adulta, giovane donna – prende il sopravvento, e Lucio, distinto portiere di notte dell’Amour, la accompagna in paese: un cornetto, un caffè, un primo dialogo, un po’ di tensione tra sconosciuti, ma poi i “Sogni” – così recita l’insegna di una palazzina celeste più simile a un circolo nautico che a una casa – che però “distraggono, dalla realtà”, ammonisce lei; “appunto”, accondiscende lui.
Ruspoli dimostra una sensibilità anche estetica per la visione, elegante: dettagli, chiaroscuri, notturni, a ciascuna sequenza è riservata una cura che tende alla bellezza. “I colori del film – predominanti l’arancio e l’azzurro – sono dovuti dal cimitero di San Cataldo, che ha portato all’estetica del film, per l’ambientazione piatta e spigolosa, e dall’edificio Sogni che c’è a Tresigallo: poi, con Bigazzi siamo andati a riproporli, punteggiandoli, nelle varie scene” spiega Ruspoli, che ha anche scelto dei riferimenti visivi noti: “Ghirri, Aldo Rossi, De Chirico, Flavi per quanto riguarda i neon: molto nasce da quella foto famosa di Ghirri al cimitero di San Cataldo appunto, e rivedendo quell’immagine che conoscevo da anni ho pensato volevo fosse un po’ quella l’ambientazione del film; per il manto bianco della neve e il cubo rosso, il luogo esiste, ma sembra che non esita, e penso questa ambientazione aiuti il concetto del ‘viaggio sognato’. E poi la musica è un veicolo meraviglioso che permette di sognare. Io ho cercato di ricreare un mondo che esiste solo nel film, i personaggi sono reali ma per me il mondo è totalmente finto: se dovessi dare una temporalità sarebbe pre-tecnologica, però l’ambientazione non vuole avere un collocamento temporale ma essere come se avessimo ricostruito tutto in studio, sempre nell’idea del ‘viaggio sognato’. Ho preso anche il rischio di non avere un tempo, creando una piccola confusione, che volevo portasse proprio alla questione della non specificità del tempo”.
Le musiche originali sono di Ford: “lo spartito” della colonna sonora è versatile, si sfaccetta tra i generi, è sofisticato. E include anche una non secondaria attenzione ai rumori diegetici, “musica” necessaria, almeno a questo film, come il silenzio.
Amusia esce al cinema il 27 aprile.
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