Amos Gitai: “Non siamo condannati alla guerra”

Abbiamo intervistato il regista israeliano, a Venezia 81 per presentare Fuori concorso il suo documentario 'Why War', ispirato allo scambio epistolare tra Einstein e Freud


VENEZIA – Perché la guerra esiste da sempre in ogni società umana? L’odio e la violenza fanno parte di noi? A queste domande prova a rispondere il celebre regista israeliano Amos Gitai e lo fa basandosi sui testi di alcuni dei più importanti intellettuali del secolo scorso. Ispirato all’omonimo scambio epistolare tra Freud ed Einstein Why War è stato presentato Fuori concorso a Venezia 81. Un film poetico che fonde linguaggio documentario e teatrale per scavare nelle radici del male più grande che il genere umano abbia mai saputo generare e che, ancora oggi, si ripercuote su tutto il mondo.

Amos Gitai, quando ha letto per la prima volta le lettere che Einstein e Freud si scrissero? Cosa ha provato leggendole?

Dico spesso che faccio film come cittadino, come testimone della storia del mio Paese in questo Medio Oriente così complicato, testimone impegnato in eventi. Film come House (1980), Kippur (2000) o Rabin the Last Day (2015), sull’assassinio del primo ministro da parte di uno studente ebreo di estrema destra nel 1995. L’attuale ciclo morboso fa venire voglia di piangere. Le barbare atrocità perpetrate da Hamas il 7 ottobre sono imperdonabili. Non c’è motivo di violentare le donne o di bruciare vive le persone. Niente può giustificare tali crimini, nemmeno un movimento di liberazione nazionale. Penso spesso a Vivian Silver, una pacifista di 74 anni che ha lottato tutta la vita per far curare i bambini di Gaza negli ospedali israeliani. Il suo corpo è stato trovato bruciato nella sua casa nel Kibbutz Beeri. I giovani sono stati rapiti, violentati e assassinati. Oggi è stato istituito un rituale terrificante, con bombardamenti, distruzione di vite umane e di tutte le risorse di questa regione, per conflitti militari, ancora e ancora. E l’immensa tragedia dei civili palestinesi a Gaza. L’attuale governo israeliano ritiene che il conflitto possa essere risolto con la forza. Ma non ci sarà mai una soluzione permanente senza un dialogo profondo che tenga conto delle sofferenze di entrambe le parti.

Allora in questo terribile contesto dopo il 7 ottobre ho voluto leggere e rileggere alcuni testi per cercare aiuto e comprendere le radici di questo desiderio umano di impegnarsi in una guerra e nell’uccidere. E questa ricerca, questo scambio di lettere, è stata una rivelazione. Tra il 1931 e il 1932 la Società delle Nazioni, che precedette la creazione dell’ONU, chiese ad Alfred Einstein di scegliere un intellettuale con cui discutere una questione. Einstein scelse Sigmund Freud. E la domanda attorno alla quale si ritrovarono queste due grandi menti fu: perché la guerra? Perché le persone si fanno la guerra tra loro?

Non siamo condannati alla guerra e alla violenza, anzi. Ma è vero che per certi versi è la soluzione più semplice e allo stesso tempo la più terribile. Quando mi sono occupato dell’assassinio di Rabin, questo era già il nocciolo di ciò che cercavo di capire. Questa corrispondenza tra Einstein e Freud continua la mia ricerca su come si possano evitare i conflitti armati, su come sia possibile trovare soluzioni pacifiche per conciliare posizioni distanti. Intorno a questo straordinario dialogo tra due brillanti intellettuali ho costruito un film poetico in cui la guerra non si vede mai.

Secondo lei, c’è un problema nel modo in cui rappresentiamo la guerra nei film e in televisione?

Molto cinema ha già raccontato la guerra, e continua a farlo. Volevo raccogliere un’altra sfida, esplorare un altro approccio narrativo, avendo la fortuna di questi magnifici testi e un cast formidabile che dà voce e presenza a questa riflessione: Irène Jacob, Mathieu Amalric che interpreta Freud, Micha Lescot che è Einstein. Mi sono ispirato anche ai testi di due scrittrici straordinarie, Le Tre Ghinee di Virginia Woolf e il brillante saggio di Susan Sontag Davanti al dolore degli altri.

Il cinema che faccio è sempre ispirato alla realtà in cui viviamo. Ancora una volta, ho scelto di dialogare con la crudele realtà che esiste in questa regione. Ma il film evita di mostrare l’iconografia e le fotografie degli orrori della guerra e della distruzione che continuano ad alimentare le guerre.

L’idea è quella di fare un film narrativo senza vedere la guerra. Oggi basta accendere la televisione per essere sopraffatti dalle immagini scioccanti di donne e uomini israeliani portati via con violenza dalle loro case da Hamas o da una festa musicale e portati in cattività, dalla continua distruzione delle vite palestinesi a Gaza. È un’iconografia che amplifica proprio la guerra. Anche se personalmente sono partito dal conflitto israelo-palestinese, il film si muove verso una riflessione universale che potrebbe essere applicata alla guerra tra Russia e Ucraina, a quanto sta accadendo in Sudan. Purtroppo gli esempi non mancano.

Lei dice che non siamo condannati alla guerra: ha ancora speranza nell’umanità?

Ho vissuto accanto alle divisioni etniche, religiose e politiche, cercando sempre di non farmi sopraffare. E per me il cinema ha una missione civica. Questo è ciò che cerco di portare nella mia cinematografia. Viviamo in un mondo in cui il dialogo è diventato sempre più complicato e raro, e questo favorisce posizioni estreme come vediamo anche in molte parti del mondo. Quindi non è un film che vuole dare una risposta, ma farci interrogare tutti.

Vorrei costruire ponti invece di bruciarli. Noi registi, ma credo tutti gli artisti in generale, non dobbiamo rassegnarci alle divisioni. Alla vigilia del 7 ottobre sapevo che eravamo in una situazione esplosiva in Israele ma questa consapevolezza non ha attutito il trauma per chi come me da tempo cerca di far dialogare israeliani e palestinesi attraverso l’arte. È quello che faccio da anni nei miei film e nei miei lavori teatrali. Nell’antichità il ruolo tradizionale degli artisti era quello di guaritori. Per guarire le anime. Mi piacerebbe abbracciare l’idea del regista o dell’artista come guaritore.

autore
31 Agosto 2024

Venezia 81

play
Venezia 81

‘Familia’. Una storia che piomba nell’abisso prima della rinascita

La storia di Luigi Celeste e della sua famiglia per il secondo lungometraggio di finzione di Francesco Costabile

play
Venezia 81

‘Vermiglio’. Viaggio in un mondo antico, tra guerra e pace

Il film racconta dell’ultimo anno della Seconda guerra mondiale in una grande famiglia, e di come essa perda la pace,nel momento stesso in cui il mondo ritrova la propria

Venezia 81

Venezia a Roma, tanti film premiati nelle sale del Lazio

Una selezione di film presentati alla Mostra del cinema arriva nelle sale di Roma e del Lazio dal 19 settembre al 1° ottobre. Tra questi The Brutalist e Ainda Estou Aqui

Venezia 81

Giuseppe De Domenico: “Far parte della visione di Maura Delpero è stato qualcosa di unico”

L'attore è tra i protagonisti del film Vermiglio che ha conquistato il Leone D'Argento-Gran Premio della Giuria all'81esima Mostra del cinema di Venezia


Ultimi aggiornamenti