Amelio: Papa Francesco non giudica l’omosessualità

Così Gianni Amelio presentando il suo film Felice chi è diverso, passato alla Berlinale e in sala il 6 marzo distribuito da Luce Cinecittà che lo coproduce


Suonano forte le campane di una chiesa mentre il giovane Aron racconta come vive, o meglio nasconde, la sua omosessualità nella scuola di provincia. Il finale di Felice chi è diverso, che Gianni Amelio ha portato a Berlino nella sezione Panorama e che dal 6 marzo sarà in sala distribuito da Luce Cinecittà, ci dice che la strada da percorrere per i diritti civili dei gay è ancora lunga.
Ma quel suono intenso di campane, quasi a festa, sembra promettere bene. “Chi sono io per giudicare un omosessuale?, così qualche settimana fa Papa Francesco si è espresso. Nessun Pontefice aveva mai parlato in questo modo. E’ un evento storico: il Papa riconosce l’omosessualità in maniera aperta e cristiana. Questa è la posa della prima pietra. Ci sono stati papi che hanno usato parole nefaste verso l’omosessualità che non è peccaminosa, ma naturale”, afferma Amelio. 
 
Due anni fa il cineasta ha accettato la proposta fattagli da Roberto Cicutto, AD di Luce Cinecittà (che lo produce anche con Rai Cinema, Rai Trade in collaborazione con Cubovision), di girare un documentario su un argomento a scelta. “Subito ho risposto che mi sarebbe piaciuto raccontare come l’omosessualità è stata vissuta in Italia dai protagonisti e dai media”. Il suo film dà voce a quanti hanno sofferto e vissuto in modo clandestino la loro identità sessuale in tempi in cui era ammessa solo l’eterosessualità. Indaga e fa emergere un pezzo di storia sociale e di costume italiana taciuta e rimossa, recuperando la memoria di quanto accadeva sotto il fascismo, nel dopoguerra e in anni a noi vicini. Una memoria storica audiovisiva le cui opere di documentazione sono poche.

Le testimonianze dei protagonisti (circa 20, altre si aggiungeranno nel DVD), uomini anziani, di ogni condizione sociale, che sono stati omosessuali quando non era consentito esserlo, sono commentate dalle immagini denigratorie e volgari costruite dai media dell’epoca. “Mi piace lavorare sulla memoria, sugli archivi, i repertori, ma questa volta c’era scarsezza di materiali”, spiega Amelio, al suo fianco Ninetto Davoli che nel film parla degli attacchi volgari della stampa e della destra a Pasolini.
E le storie raccontate in prima persona parlano da sole. Alcune drammatiche come quella di chi è stato ‘curato’ in manicomio o di chi è scappato ragazzo dalla violenza del padre, senza mai più tornare a casa; altre serene nel senso che i protagonisti hanno trovato finalmente un equilibrio quotidiano creando una coppia di fatto; c’è infine chi si è arrangiato a vivere, sposandosi con una donna lesbica, e chi come un famoso teatrante come Paolo Poli ha goduto “svolazzando qui e là” di “incontri alla cosacca”.

“In quasi ogni racconto emerge il fatto che ancora oggi è difficile dire le cose come stanno – sottolinea il regista – Ci sono persone che vorrebbero parlare fino in fondo ma non ce la fanno. Nel finale il ragazzo, Aron, indica la via d’uscita: non nascondere e rivelare la propria diversità alla madre bloccando sul nascere quel pietismo – ‘poverino, pensa come soffrono i genitori’ – manifestato in una circostanza”.
Soprattutto Aron è il contraltare del 14enne che si buttato dalla finestra perché preso in giro a scuola. E se lui dovrà ancora lottare per i suoi diritti civili, “negli anziani omosessuali, il tempo li ha un po’ pacificati e un vissuto crudele è ormai alle spalle”. Amelio avrebbe voluto parlare anche di omoaffettività. “Non tutti sono nati per gli amori alla cosacca, come racconta Paolo Poli, si parla poco della voglia di vita di coppia, della ricerca di un amore stabile”.

La speranza? Viene dalla poesia di Sandro Penna – “Felice chi è diverso essendo egli diverso. Ma guai a chi è diverso essendo egli comune” – che dà il titolo al film e “che ci mette in guardia dal conformismo, dal considerarsi come tutti gli altri per protezione. Il fatto è che ti privi del tuo essere se deleghi alla comunità, contando sulla maggioranza”.
In chiusura dell’incontro romano Amelio si toglie anche un sassolino dalla scarpa. “A Berlino ‘Hollywood Reporter’ ha scritto che il mio film sembra fatto 30 anni fa. E’ l’elogio più bello che ho ricevuto, perché non si tratta di un film di finzione ma di persone e storie autentiche che testimoniano che la lotta non è finita, anzi deve ancora cominciare”.

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26 Febbraio 2014

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