Un paese impermeabile al capitalismo, chiuso nella bolla di una propaganda martellante che insegue i suoi cittadini fin dalla culla, completamente privo di contatti con l’esterno. E’ la Corea del Nord, misterioso ultimo baluardo del comunismo, regime dittatoriale pronto a minacciare ritorsioni senza pietà per un film (The Interview con James Franco) che mette alla berlina il suo leader e padre della patria Kim Jong-un e che ha bloccato, sempre con la minaccia di attentati, un altro film tratto dal fumetto di Guy Delisle Pyongyang.
Ora un documentario, presentato alla Festa di Roma, The Propaganda Game dello spagnolo Alvaro Longoria ci porta oltre quel confine che corre lungo il 38° parallelo, proprio dentro l’impenetrabile Corea del Nord. Il film è imperdibile per chi abbia voglia di capire qualcosa di più, anche se poi si esce dalla visione forse più confusi di prima. Longoria ovviamente è stato scortato da guide locali e ha dovuto seguire una serie di regole. La Pyongyang che ha visto è una città ordinata e pulita, le persone con cui ha parlato erano entusiasti sostenitori di un regime che garantisce abitazione, lavoro, istruzione e sanità gratuite e non impone tasse. Le testate atomiche e i missili puntati sugli Stati Uniti e sulla Corea del Sud sono sembrate una necessità di autodifesa per un piccolo paese assediato da un gigante. I palazzi ultramoderni e musei, università e ospedali (benché senza medicine) lasciano perplessi come cattedrali nel deserto o gusci vuoti e la chiesa cattolica in cui è stato condotto, su sua richiesta, sembrava visibilmente falsa, ma sono solo sensazioni e supposizioni. Nulla delle atrocità raccontate dai media occidentali è potuto trapelare durante la visita.
E’ stato grazie al connazionale Alejandro Cao de Benos che Longoria ha potuto portare la sua macchina da presa in quei luoghi. Alejandro è un nobile decaduto che ha sposato l’ideologia Juche – un credo quasi religioso, una sorta di culto della personalità che i diretti interessati non riescono neanche a spiegare a parole – ed è diventato ambasciatore internazionale del regime. “Realizzare il documentario con la sua guida è stato un privilegio che ci ha permesso di ascoltare l’altro punto di vista, quella della Corea del Nord che, confrontato con le molte contrastanti visioni di questo Paese, ci ha fornito una più ampia visione della questione. Il nostro obiettivo – dice ancora Longoria – non è quello di scoprire la verità assoluta, ma quello di far conoscere al pubblico una realtà piena di mezze verità e molte bugie, lasciandogli raggiungere la sua personale conclusione”. Ma soprattutto fa accapponare la pelle vedere la propaganda in azione e scoprirne i meccanismi.
Insomma, la propaganda funziona?
Totalmente. I coreani sono vittime di un sistema che è propaganda dall’inizio alla fine, tutti sanno cosa fare da quando si svegliano a quando vanno a dormire. Io stesso ne sono stato vittima in soli dieci giorni di permanenza cominciavo a crederci, figuriamoci chi è esposto 365 giorni l’anno. E poi c’è propaganda anche dall’altro lato, da parte americana, da parte dei media internazionali, dalla Corea del Sud. La gente è abituata a prendere le idee dagli altri più che a produrre idee per conto proprio. Tutti noi siamo piuttosto vaghi quando si tratta di fare una riflessione critica. Io potrei manipolare voi, ora, dicendo che in Corea ci sono i lager o le esecuzioni capitali di massa.
Come spiega il relativo benessere di un paese dove, nonostante l’embargo, si trovano molte merci e dove molti fondi vengono impiegati per costruire edifici di rappresentanza, dove il 18% delle risorse sono impiegate nell’esercito eppure non si pagano le tasse.
Sono un economista come formazione eppure non so darle una risposta. Mi hanno raccontato mille storie, ma nessuna rappresenta la realtà. Le cose sono più complesse di quanto sembrino, ma io mi sono sforzato di non giungere alle conclusioni. So che questo crea frustrazione nello spettatore che è abituato ad avere delle risposte. Da dove viene il denaro? Non lo so. L’esercito è pericoloso? Non so neppure questo, ma so che hanno la bomba atomica e i missili intercontinentali e che questo può provocare un disastro. Siamo stati nella cosiddetta zona demilitarizzata sul 38° parallelo, è il luogo più militarizzato e pericoloso del mondo. Con trentamila soldati americani alla frontiera ci vuole un attimo per far scoppiare un conflitto, ma certo non possiamo dire che i coreani siano pericolosi se paragonati agli Usa che hanno una spesa militare 150 volte maggiore. Anche la trasformazione dell’economia della Corea del Nord è interessante. Cercano di reprimere il capitalismo ma è impossibile. Hanno una enorme frontiera con la Cina aperta, dove passa di tutto.
Cosa accadrà in futuro?
Potrebbe esserci una sorta di effetto Cuba, una mitizzazione del capitalismo. Ma il nuovo leader è giovane, ha studiato in Svizzera e sta aprendo il paese in modo graduale. Jang Song-thaek, suo zio e membro dell’elite, di cui si dice che sia stato fatto divorare dai cani, aveva appoggiato l’evoluzione verso il capitalismo comunista cinese.
Come è entrato in contatto con Alejandro Cao de Benos?
Avevo provato per anni a entrare in Corea attraverso i miei contatti in Russia, ma invano. Finché non ho letto un articolo che parlava di questo spagnolo, gli ho scritto su facebook e abbiamo iniziato subito a negoziare per il mio viaggio. E’ più coreano dei coreani. Non vive lì ma va e viene. E’ diventato una specie di ambasciatore, osannato dai coreani che lo vedono in tv cantare canzoni patriottiche. È una macchina perfetta per la propaganda. Molto ben addestrato.
In Corea del Nord non c’è internet e non entrano informazioni dall’esterno.
Entra solo qualche dvd pirata attraverso la Cina. La tv trasmette ogni giorno gli stessi programmi. Notiziari (70% sul leader e 30% internazionali), un film eroico sulla guerra, un concerto di una banda di 12 ragazze molto carine vestite da militari.
Nelle interviste con le persone comuni molti parlano di felicità.
Il capitalismo darebbe a queste persone maggiore libertà ma non maggiore felicità. Lì c’è una pace totale, tutto pulito e ordinato, come in 1984 di Orwell. Del resto se stai con il sistema avrai casa, lavoro e tutto il resto, molti degli intervistati credono in quello che dicono, solo uno di loro, quello che suda durante l’intervista, dà l’idea di essere preoccupato di dire qualcosa di sbagliato. Però tutti danno le stesse risposte, tutti dicono le stesse cose: è allucinante.
Alejandro e le autorità coreane hanno visto il film?
Sì, Alejandro e l’ambasciatore coreano a Madrid l’hanno visto. La loro reazione non è stata ostile come pensavo e speravo. Per loro è importante che non si ridicolizzi il loro leader perché sarebbe come per noi ridicolizzare il papa e Cristiano Ronaldo in una sola volta. Ma sono stati contenti del film.
Ha l’impressione che ci sia libertà di culto, come vogliono farle credere?
Ho chiesto a lungo di poter andare in chiesa spiegando che sono cattolico e che volevo andare a messa. Dopo molte discussioni mi ci hanno portato. Non so dire se fosse una chiesa vera o falsa. Sembrava strana, non c’era il prete, non davano la comunione e tutti cantavano benissimo.
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