Dopo la sconfitta dell’esercito italiano in Nord Africa, un ufficiale di cavalleria, Amedeo Guillet, assunse il comando della resistenza eritrea contro l’esercito inglese. Al suo fianco Kadija, la bellissima figlia di un capotribù locale. Dopo oltre mezzo secolo una troupe italiana giunge in Eritrea per preparare un film dedicato a questa grande storia di amore ed eroismo, che ricorda in un certo senso il classico racconto alla Pocahontas.
Del resto, la stessa figura di Guillet era avvolta nella leggenda. I suoi soldati indigeni lo chiamavano Commundàr es Sciaitan (Comandante Diavolo), convinti che godesse di una sorta di immortalità. Le sue gesta belliche erano oggetto di discussione negli esclusivi circoli di occidentali di Asmara e Adua, mentre la fama del Comandante Diavolo si diffondeva rapidamente in tutta l’Africa Orientale. In particolare, si fantasticava sullo stile di comando “democratico” (per l’epoca) del giovane tenente, che trattava i soldati indigeni con dignità e rispetto, dando loro massima responsabilità e la possibilità di mantenere e curare i rispettivi usi e costumi. Molti colleghi di Guillet, invidiosi dei suoi risultati sul campo, di gran lunga migliori di quelli ottenuti da reparti regolari di italiani, “malignarono” non poco sul tipo di azione di comando adottata. Il suo illuminato stile di comando diede comunque i suoi frutti: nella sua unità non si verificò mai un caso di diserzione, né di contrasto tra i soldati indigeni, nonostante la loro appartenenza a differenti etnie e fedi religiose. Permise, ad esempio, ai suoi uomini, di portare sempre al seguito i nuclei familiari (come da tradizione locale). Anche nei confronti degli avversari catturati e delle popolazioni locali con cui entrava in contatto durante le attività operative tenne sempre un comportamento rispettoso e leale, da gentiluomo d’altri tempi.
Ma il documentario Looking for Kadija, di Alessandro Caruso, Chiara Laudani e Francesco G. Raganato prodotto da Todos Contentos y Yo Tambien in collaborazione con Rai Cinema che passa al Festival di Roma nella sezione Prospettive Italia, non parla di questo, o almeno, non direttamente. E’ piuttosto la storia della lavorazione di questo film ‘in fieri’, e sono i casting per trovare la protagonista a diventare l’occasione per conoscere, attraverso le storie delle giovani aspiranti e delle loro famiglie, la condizione e le speranze di un paese isolato dal resto del mondo da vent’anni di dittatura militare.
“Il film – dice Raganato – è il racconto di una eroica storia d’amore e un atto di fede verso il mio lavoro di documentarista. Amedeo e Kadija avevano urgenza di essere raccontati, la loro è una storia archetipica, senza tempo, dove tutte le passioni umane si mescolano e si fondono, dando vita a due personaggi straordinari. La spinta vitale e l’anelito all’assoluto di un giovane ragazzo italiano incontrano, e si innamorano ‐ d’altronde, come non innamorarsi? ‐ della caparbietà e della purezza audace della più bella donna eritrea. Tra i due, ad unirli ed infine separarli per sempre, l’abominio della guerra e l’ineluttabile corso degli eventi umani. È un film doppio, forse triplo. Non solo una storia d’amore, ma anche una riflessione sul nostro passato coloniale, e una velata indagine sull’origine dell’immigrazione clandestina. E poi il sogno, il grande sogno del cinema, capace ancora oggi di ammaliare e illanguidire lo sguardo di giovani donne che lottano ogni giorno per dimenticare l’amarezza della vita”.
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