“Nello spazio nessuno può sentirti urlare“, c’era scritto nel 1979 sui manifesti murali di Alien, il primo capitolo della saga horror-fantascientifica creata da Ridley Scott, in quello che diventò uno slogan citato dai cinefili di tutto il mondo.
E già prima che uscisse il nuovo film da oggi in sala, riapparso tra le agghiaccianti grida nei trailer dell’attesissimo Alien: Romulus diretto da Fede Álvarez (La casa, Man in the Dark – Don’t Breathe), quel prezioso monito non ha fatto che confermare quanto dichiarato sia dal regista che dallo stesso Scott – stavolta nel ruolo di produttore – alle testate internazionali: di quel primo celebre capitolo questo è il sequel diretto, proseguendone la narrazione come non accadeva dal 1997, con Alien – La clonazione di Jean-Pierre Jeunet.
Essendone ben consapevoli, per quanto cercassero di sfoggiare sorrisetti da fan navigati, era evidente da ogni singolo sguardo come nessuno tra i giornalisti che attendevano l’inizio dell’anteprima riuscisse a nascondere una certa dose di paura vera.
Mentre sullo schermo vanno ancora dissolvendosi gli ultimi titoli di testa, sono proprio i resti della vecchia astronave Nostromo (quella di Alien), fluttuanti nella galassia, ad immergerci subito nel nuovo racconto: ambientato temporalmente vent’anni dopo la storia di Alien e settanta prima di quella di Aliens Scontro finale di James Cameron, Alien: Romulus si inserisce nel medesimo universo narrativo raccontando però una vicenda del tutto originale, grazie alla sceneggiatura scritta a quattro mani dal regista con Rodo Sayagues. Già nella prima scena, infatti, siamo proiettati su Jackson’s Star, una polverosa e tetra colonia piena di miniere dove non batte mai il sole, che richiama non poco l’inferno dantesco. È da qui che un gruppo di giovanissimi minatori maltrattati dalla compagnia estrattiva, più o meno imparentati tra loro, decide di fuggire a bordo dell’astronave Corbelan IV, in cerca di una vita migliore: prima tappa, la stazione spaziale Renaissance. Solo apparentemente abbandonata da anni, la base è formata da due moduli, Remus e… Romulus, quello in cui i ragazzi dovranno affrontare la più terrificante forma di vita dell’universo: lo Xenomorfo, un mostro endoparassita a forma umanoide scheletrica, con testa allungata, coda ossea e acido concentrato al posto del sangue. Non ha occhi, può sopravvivere senza cibo in qualsiasi atmosfera, sensibile alla sola temperatura. La prima fase del suo ciclo vitale è rappresentata dai facehugger, letteralmente gli “abbracciafaccia” (come quello qui sotto, immortalato nel poster italiano del film): dotati di otto arti simili a dita e una lunga coda, sono in grado di fare incredibili balzi attaccandosi al volto delle vittime, e mentre quasi le strangolano si infilano nella loro gola impiantando un embrione nella cavità toracica. Per l’esattezza, parliamo di un chestburster: un’enorme creatura aliena simile a una larva, che una volta giunta a maturazione, esce dal torace dell’ospite, letteralmente sfondandolo. Chi riuscirà ad averla vinta?
I fortunati che hanno visto il primo film noteranno subito che fino al più piccolo dettaglio interno Corbelan è una perfetta replica della Nostromo, la navicella dove il tenente Ripley (Sigourney Weaver), unica sopravvissuta dell’equipaggio, fu destinata a vagare alla deriva nello spazio, in stato di ipersonno, dopo che l’alieno aveva letteralmente massacrato tutti.
Una domanda a questo punto sorge spontanea: quegli stessi spettatori, tanto affezionati al primo Alien, ce la faranno a non rimpiangere la mitica Ripley per le intere due ore del film? Ci sono buone speranze di sì. E riuscire nell’intento non era affatto facile, dopo la formidabile interpretazione della stessa Weaver, simbolica incarnazione cinematografica dell’ondata femminista che in quegli anni scuoteva il mondo, rimasta stampata per sempre nella mente e nel cuore di tutti i fan.
Di soli quattro anni più giovane della star assoluta di Alien, il volto della 26enne Cailee Spaeny (Priscilla, Civil War) si dimostra infatti la miglior scelta del regista uruguàgio per il ruolo di protagonista del film, in quella che ad oggi ci appare senza dubbio come la più grande interpretazione dell’attrice statunitense. La sua è una presenza più che magnetica nei panni della ‘tosta’ e decisamente geniale Rain Carradine, fin dalle prime sequenze. E il tutto in un crescendo ansiogeno lungo 120 minuti, in cui chi guarda impara a conoscere piano piano la coraggiosa eroina, con la quale finisce con l’immedesimarsi totalmente, tra uno scontro e l’altro con le spaventose creature aliene. Rain le affronta in prima linea, perché anche in Alien: Romulus, non c’è partita: la figura in assoluto più intelligente, impavida ed empatica è ancora una volta rappresentata da una donna.
Ma c’è un altro personaggio straordinario che spicca su tutti: si tratta di Andy (un incredibile David Jonsson), fratello ‘sintetico’ e acquisito di Rain. È un androide vecchio modello un po’ difettoso, creato dalla Weyland-Yutani Corporation (la compagnia che gestisce la colonia mineraria e la stazione spaziale), lasciatole dal padre prima di morire. La ragazza, che nelle miniere di Jackson’s Star ha perso entrambi i genitori, lo protegge amorevolmente, come un vero fratello minore, e lui a suo modo fa lo stesso, in un rapporto reciproco in cui l’uno è disposto a morire per l’altra, che si evolve scena dopo scena con il complicarsi della situazione. Un profondo legame fraterno che non è l’unico della storia, divenendone elemento centrale, a cui si ispirano lo stesso titolo del film e i nomi dei due moduli della Renaissance (Remus e Romulus), come il regista stesso ha fatto intendere in alcune interviste. Ma anche un rapporto che mostra il prezioso tesoro che si nasconde nelle cosiddette ‘diversità’, in questo caso moltiplicate al quadrato, trattandosi di un ‘difettoso sintetico’. Tra gli alti, bassi e bassissimi toccati nelle relazioni tra umani e androidi nei vecchi film di Alien (si pensi a Ripley prima con il ‘traditore’ Ash poi con la diffidenza e la riconquistata amicizia con Bishop), poi, questa è la prima volta in cui i sintetici entrano addirittura far parte di una famiglia.
Tuttavia è tutto il giovane cast scelto da Álvarez ad uscirne alla grande, con attori e attrici, nessuno escluso, che non si risparmiano nelle adrenaliniche interpretazioni dei loro rispettivi personaggi, ideati dal grande Dan O’Bannon (già sceneggiatore in Alien) con Ronald Shusett, e impegnati in scene a dir poco estreme: a partire da Tyler (Archie Renaux), ex fidanzato di Rain, da sua sorella Kay (Isabela Merced), fino allo scatenato ‘bullo’ Bjorn (Spike Fearn) e all’esperta Navarro (Aileen Wu), che vedremo alla guida della navicella. Ma a proposito di “ritorni”, nel cast c’è anche una vera sorpresa – che non spoileriamo – destinata a far discutere: in arrivo dai prodigi dell’intelligenza artificiale, tecnicamente è realizzata in maniera davvero impressionante. Ad accorgersene saranno per primi i soliti aficionados del franchise, trattandosi di una ‘vecchia’ conoscenza qui già citata, che possiede le esatte sembianze di un grande attore scomparso, voce compresa.
Una prova tangibile della volontà di Álvarez di rendere omaggio ad autori ed artisti che lo hanno preceduto lavorando alla saga, sta nell’abbondanza di citazioni di ogni tipo che ricorrono nel film: ne anticipiamo solo due, per non rovinare uno dei rituali da sempre più diffusi tra i cinefili a tutte le latitudini: il saper coglierle al volo.
“C’è qualcosa in questa c.. zo di acqua!”, grida Bjorn a Navarro, ancora del tutto ignaro di quel che Romulus nasconda. Il terrore viene dall’acqua: il primo Alien di Ridley Scott, lo ricordiamo, fu in un primo momento presentato come Lo squalo nello spazio. La scena è dunque un meraviglioso tributo al film originale, che in realtà diede al concetto di pericolo ignoto (lo Xenomorfo) molta più forza di quel che Lo Squalo di Spielberg era stato quattro anni prima.
Il nome dell’astronave “Corbelan IV” richiama anch’esso la tradizione del primo film, dove quelli della Nostromo e della Narcissus erano omaggi allo scrittore Joseph Conrad e ai suoi romanzi. Anche “Corbelan”, infatti, si ispira al romanzo conradiano intitolato Nostromo, in particolare a uno dei suoi personaggi, Padre Corbelan.
Ma a rapire totalmente lo sguardo sono i fantastici effetti speciali, con relative scelte estetiche, che omaggiano volutamente il primo Alien di “papà” Scott: a partire dallo spaventoso Xeno-mostro immaginato dall’ineguagliabile fantasia di H. R. Giger, reso qui se possibile ancor più terrifico, senza mai lesinare in bava e schizzi di sangue. Stessa cosa per i Facehugger, graficamente curatissimi, la cui punta dei tentacoli sembra quasi acuminata, per poter abbracciare la faccia delle vittime in modo più cattivo e violento che mai. La sola Legacy Effects ne ha creati ben quattro, completamente funzionanti, grazie al lavoro di 80 creativi: dagli esperti digitali ai concept artist, fino ai creatori di stampi, gli scultori, i pittori e gli specialisti in robotica. Al digitale e ai green screen, tuttavia, si sono preferiti gli effetti vintage: le miniature fatte a mano per le sequenze dei veicoli spaziali, gli animatronic, le tute in lattice, le marionette (supervisionate da Álvarez stesso) e solo in fase finale la computer graphics.
Il risultato parla da solo, raggiungendo livelli di autenticità e immersività davvero rari: come per il primo capitolo, il ruolo degli effetti speciali in questo nuovo film non è infatti quello dell’elemento visivo, ma del vero e proprio protagonista. Il tutto condito dall’inquietante atmosfera creata da Benjamin Wallfisch (It, Blade Runner 2049, The Flash, Shazam!, Il diritto di contare, The Invisible Man), che ne ha realizzato la colonna sonora.
Lo ha dichiarato il regista stesso, che di horror se ne intende non poco e per l’occasione ha richiamato l’intera squadra degli effetti speciali di Aliens – Scontro finale: in Alien: Romulus si è voluto creare un vero film dell’orrore, “riportando tutto alle origini, non solo la storia, ma anche lo stile visivo”, con tecniche inutilizzate da decenni. Un’opera smisurata, o meglio ‘galattica’, come dimostrano anche gli oltre dieci minuti di titoli di coda: per lo spettatore, un distillato di terrore puro, che si riaffaccerà a lungo nei suoi incubi diurni e notturni.
“Sei sicuro di volerlo fare?”, chiede Rain a Tyler nella prima parte del film. Una domanda che giriamo a voi: siete sicuri di voler rimanere senza fiato per due ore piene?
“Accada quel che accada, lo affronteremo”, sembra rispondere l’indomita protagonista: ma dopo 45 anni possiamo dirlo o no che urlare nello spazio è inutile?
Alien: Romulus è prodotto da Ridley Scott, Michael Pruss e Walter Hill, mentre Fede Alvarez, Elizabeth Cantillon, Brent O’Connor e Tom Moran sono i produttori esecutivi.
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