VENEZIA – Alice Rohrwacher ha ricevuto il Premio Robert Bresson, conferito dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e la Rivista del Cinematografo, con il Patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura e del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede e il contributo della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del Ministero per la Cultura. Nel corso della cerimonia, condotta dalla giornalista e scrittrice Tiziana Ferrario, sono intervenuti Roberto Cicutto (Presidente della Biennale), Alberto Barbera (Direttore della Mostra), Paolo Ruffini (Prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede) e mons. Davide Milani (Presidente della FEdS).
“Siamo orgogliosi di premiare Alice Rohrwacher – ha detto Milani – il suo primo film, Corpo celeste, fa capire che non c’è fede senza incontro”.
“Sono felice che a ricevere il Premio Bresson sia una delle rivelazioni più importanti degli ultimi vent’anni di cinema italiano. E in piccola parte ho contribuito anche io”, afferma Cicutto.
Per Ruffini: “La straordinaria e dolce potenza dei film di Alice Rohrwacher ci regala un modo inquieto ma non arreso di vedere le cose, un’attenzione al mistero e al senso spirituale della vita”.
Così si legge nella motivazione: “La sua opera è incardinata in uno spazio che non c’è più e in un tempo che non è ancora: è rimpianto e promessa, materia arcaica e trascendenza. Gli ultimi bagliori di un mondo in disfacimento, il mondo contadino, si rivelano allo sguardo dell’autrice come epifanie di luce, corpi celesti e resurrezioni. I suoi film rielaborano in modo locale tensioni globali, preservano il mistero dalla pornografia del contemporaneo, lamentano la perdita dell’antico senza farne un epitaffio. E mentre attraversano la terra smorta dell’immaginario scorgono fioriture di senso, possibilità impreviste, passaggi nascosti. Come fantasmagorie di un vecchio lucernario. Meraviglie del cinema di Alice”.
Visibilmente emozionata, Rohrwacher ha riflettuto sul suo percorso artistico e umano: “Tante volte mi chiedo: ‘cosa sto facendo?’ Il nostro percorso è fatto di visibile ma anche di invisibile e per esistere ha bisogno sguardo dell’altro. A volte questo sguardo manca: è molto potente ricevere l’attenzione dell’altro, specialmente sul percorso spirituale che sto cercando di portare avanti. Sono cresciuta nell’ignoranza della religione istituzionale ma con un fortissimo credo naturale: chi abita in campagna crede nella Resurrezione perché si crede nei cicli e ogni marzo appare evidente di fronte ai nostri occhi. Corpo celeste era una critica alla chiesa istituzionale ma aveva il desiderio di aprire un dialogo. Viviamo in una società in cui si vuole rimuovere il conflitto inteso come qualcosa di negativo. E invece il conflitto ci fa crescere, ci permette di fare un passo indietro per trovare un incontro: facendo film, i conflitti fioriscono”.
Intervistata da Tiziana Ferrario, la regista di Le meraviglie e Lazzaro felice ha ripercorso la sua avventura cinematografica. Partendo dal presente: l’aumento delle produzioni italiane. “Speriamo sia un buon segno. Si produce tanto ma finché non si riempiono le sale non ci sarà una vera ripartenza. Andare al cinema è una grande possibilità per gli spettatori: permette di avere una visione collettiva”.
Lei stessa è impegnata su nuovi progetti: “Ho in programma un film che spero di iniziare presto. Di cosa parla? Potrei raccontare anche tutta la trama, chi crede che il mistero di un film sia nella trama ha un approccio limitato. Racconterà un mondo invisibile, un rapporto di frontiera. E i protagonisti odiano la campagna”.
Non solo cinema: “Sto lavorando su un’antologia di fiabe italiane. La serie è l’unica forma possibile per raccontarle tutte. La speranza è che sia il servizio pubblico a produrla”.
Secondo Rohrwacher, “il cinema deve raccontare la collettività e non solo l’individuo. Non so se ho raccontato un mondo che sta per scomparire. I miei personaggi non sono dei vincenti ma anche loro vincono alcune battaglie. Nel cinema le trame collettive sono poco indagate, ma l’uomo è un animale collettivo. I miei film sono uniti dal desiderio di mantenere una rete che tiene unite le persone e non il singolo dramma”.
Sulle donne: “Non mi piacciono i pregiudizi che si alimentano da soli. Il problema della mancanza di donne mi sembra dovuto al mito della primadonna. Non c’è unione”.
E sul rapporto con la sorella Alba: “Per noi il cinema non è stato parte della nostra educazione ma della nostra scoperta del mondo”.
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