Alice all’Inferno e ritorno


La trovata più geniale di Alice in Wonderland, nuova opera di Tim Burton ispirata ai libri di Lewis Carroll che sarà in sala il 3 marzo, si perde purtroppo nell’adattamento italiano. Il vero nome del “paese delle meraviglie”, wonderland, è in realtà underland, il “sottomondo”.
L’innocenza fanciullesca della protagonista l’aveva portata a storpiarne il significato, ma ora che, quasi adulta e un po’ depressa perché costretta a un matrimonio di convenienza, Alice fa ritorno nel suo universo incantato, vede le cose con uno sguardo diverso.

Ma non radicalmente diverso. “Underland” si comporta come un sogno ricorrente, dove lo svolgimento resta lo stesso ma i dettagli cambiano. E, se lo si vuole, si può prendere il controllo dell’intero sogno – per Alice è naturalmente un addestramento per l’età adulta nella vita reale – e decidere da sé quale percorso seguire e come farlo finire.
Così, nella prima parte del film, la protagonista fa esattamente quello che tutti si aspettano che faccia: cade in un pozzo inseguendo il Bianconiglio, si ritrova in una stanza con una porticina piccolissima come unica via d’uscita, fa le prove di statura con la pozione che la fa rimpicciolire e la torta che la fa crescere – evidenti, oggi come allora, i riferimenti alla cultura degli allucinogeni – incontra Pinco Panco e Panco Pinco, lo Stregatto, il Cappellaio Matto e il Leprotto Bisestile. Lei ha già fatto queste cose, ma non le considera un vero ricordo, piuttosto un sogno che ha già fatto molte volte.
Invece, “Underland” è reale, e soffre come una vera nazione, devastata dalla cattiveria e dalla cupidigia della Regina Rossa che la tiene sotto scacco.
Non manca il “sense of wonder” – coadiuvato dalle meraviglie del Real 3D – ma la fotografia ha un che di cupo, così come le sconclusionate affermazioni del Cappellaio Matto (di cui si spiega, per la prima volta, l’origine della follia) assumono le sfumature di poesie tristi e malinconiche.

Da un certo momento in poi, la storia prende una piega diversa. Alice si rende conto che è lei a dover decidere cosa fare, divergendo dal sentiero che è stato predisposto per lei. E il film diventa un seguito a tutti gli effetti, con nuovi personaggi e nuove situazioni, e una protagonista marcatamente femminista, in pieno controllo della propria vita, che affronta le sfide con piglio da guerriera.
Decisamente distante dalla leziosa bambinetta che la Disney, produttrice anche di questa versione “riveduta e corretta”, ci aveva propinato nel celebre/famigerato cartoon degli anni ’50.
Come nel più classico dei riti di passaggio, Alice attraversa gli inferi, il mondo di sotto, per lasciare lì la sua parte fanciullesca, rinascere come adulta e prendere finalmente in mano le redini del suo destino.
“Non si può decidere per far contenti gli altri”, le dice la Regina Bianca, che si oppone alla tirannia della sorella malvagia. L’affermazione è metacinematografica: riguarda la vita di Alice ma anche il suo agire nel film.
La sua famiglia si aspetta che lei dica “sì” alla proposta di sposalizio offertale, e contemporaneamente gli spettatori, in sala, hanno delle aspettative su quello che accadrà nella storia.
Gli amanti di Lewis Carroll la vedono in un certo modo, i disneyani più accaniti, cresciuti col classico d’animazione, la vogliono in un altro.
Burton, come Alice, fugge di fronte a questa scelta, decidendo di seguire un cammino personale e imprevedibile.
“Come film – dice il regista – Alice è sempre stato incentrato su una ragazzina passiva che vive una serie di avventure con personaggi strani, ma non c’è mai stata una grande profondità. Il tentativo di questa pellicola era prendere l’idea di queste storie e modellarle in qualcosa che non fosse un adattamento letterale del libro, ma che ne mantenesse lo spirito”.

Il risultato, bisogna dire, rischia di disorientare: un po’ sequel, un po’ remake, un po’ rilettura, Alice in Wonderland stordisce lo spettatore con una struttura frammentata, ritmi insoliti e un debordante effetto tridimensionale.
Sembra davvero di trovarsi nella testa confusa del Cappellaio Matto, alter ego dell’eclettico regista interpretato dal suo sempre bravo attore feticcio Johnny Depp.
Però, alla fine i conti tornano.
Il film, dopo le polemiche suscitate circa l’annuncio dell’uscita anticipata in DVD, è stato presentato in anteprima a Londra alla presenza del principe Carlo e della moglie Camilla, in virtù della sua ambientazione vittoriana. Che però non rinuncia a coloriture moderne, come la danza rock del Cappellaio, palesemente ispirata alle movenze di Michael Jackson.
Cast d’eccezione con Helena Bonham Carter – compagna di Burton nella vita – nei panni della Regina Rossa (con un testone smisurato ritoccato digitalmente), l’eterea Anne Hathaway in quelli della sorella rivale Regina Bianca, e la convincente Mia Wasikowska nel ruolo di Alice.
Anche i personaggi in CGI, nell’originale, hanno la voce di attori importanti: Alan Rickman per il Brucaliffo, Stephen Fry per lo Stregatto, Paul Whitehouse per il Leprotto Bisestile, e nientemeno che Sir Christopher Lee per lo spaventoso drago Ciciarampa.

autore
26 Febbraio 2010

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