ROMA – “All’inizio della guerra si parlava molto dei bambini che volevano lasciare il Paese. Ho incontrato moltissimi bambini che se ne sono andati con le loro famiglie. Volevo parlare di coloro che non hanno intenzione di andarsene, che hanno deciso che quello è il loro posto”. Il senso del primo lavoro da regista dell’attrice moldava Alexandrina Turcan è chiaro già dal titolo che ha scelto: We want to live here. Il cortometraggio presentato ad Alice nella Città 2024, nell’ambito della Festa del Cinema di Roma, ci porta nella cittadina di Borodyanka, a pochi chilometri da Kiev, dove un gruppo di bambini e ragazzi provano ad avere una vita il più possibile normale, nonostante i bombardamenti che hanno reso inagibile la loro scuola.
“Sono andata in Ucraina la prima volta per vedere la situazione con i miei occhi, solo per studio – racconta Turcan – Sapevo che avrei voluto raccontare una storia, che avrei voluto girare qualcosa, perché sono stata un’attrice e una modella per tanto tempo. Ho trovato questi ragazzi e ho iniziato a sviluppare la storia con loro. Sean mi ha aiutato tantissimo, perché ha amato il film fin dal primo momento, quindi ci ha voluto mettere il suo nome sopra. Anche lui ha fatto un film sull’Ucraina e ha cercato di aiutarmi in ogni modo possibile” aggiunge facendo riferimento a Sean Penn, che figura come co-produttore del film.
In particolare la regista si concentra su tre bambini, Volodymir, Vitalyi e Matviy, cercando di andare a fondo dei loro sogni e delle loro aspirazioni per il futuro. “Sono tutti speciali a modo loro. Sono tre amici che formano un mix interessante. Ho ripreso tanti altri ragazzi, ma la mia scelta è andata su di loro perché avevano un qualcosa. Ovviamente non potevo scegliere donne. La guerra è per i ragazzi, sono loro che vanno al fronte. La cosa che mi interessava di più era questa loro mascolinità che dovevano trovare così in fretta, anche a dieci anni. I quattordicenni sanno che dovranno andare a combattere nel giro di un paio d’anni. E lo vogliono. È qualcosa di spaventoso”.
Diventare soldati, difendere il loro paese, uccidere letteralmente Putin: sono questi i loro obbiettivi futuri. Non è un caso che una delle poche attività che svolgono sia uno sport di combattimento: la boxe. Gli allenamenti e i campionati, organizzati nonostante le infinite difficoltà logistica, sono momenti cruciali per loro, momenti di svago in cui rafforzare il loro senso di comunità: “La boxe serve per tenerli uniti. Le loro vite sono davvero difficili: la scuola non funziona, non hanno infrastrutture. La boxe è più di uno sport è un luogo dove stare insieme come una comunità. Il loro insegnante, Victor, si è preso la responsabilità di questo ruolo, perché non ci sono più tanti uomini, sono rimaste solo donne”.
Ciò che li affascina maggiormente è potere dare un contributo, unirsi ai padri e ai fratelli nella battaglia per la libertà. Simbolo di questo sogno diventa un murales firmato da Banksy in persona che rappresenta un bambino che attera un adulto con una perfetta mossa di Judo. “Loro sicuramente conquisteranno i loro obiettivi, si costruiranno una vita – conclude Alexandrina Turcan – la cosa più spaventosa è che a causa della guerra i loro sogni sono cambiati e i loro obiettivi di conseguenza. Sono più arrabbiati nei confronti della società”.
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